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20 maggio 2025
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Morto Michael Ladeenm, ideologo della vittoria USA. Netanyahu lo piange
di Paolo Mossetti

È morto Michael Ladeen, figura centrale del neoconservatorismo statunitense, appassionato italianista.

Netanyahu lo ha ricordato con un trasporto che non ha dedicato a nessun ostaggio trovato morto. Come vedremo, è facile capire perché.

Storico, ex corrispondente in Europa per The New Republic, Ledeen costruì la sua carriera sull’idea che la politica estera degli Stati Uniti debba essere guidata da un principio attivo e morale: la liberazione dei popoli oppressi attraverso la forza, l’ingerenza, e, se necessario, la guerra. La sua visione del mondo fu una delle più radicali, ideologiche e inflessibili tra quelle maturate all’interno della galassia neocon.

Nell’amministrazione Bush, Ledeen non fu mai formalmente un consigliere ufficiale, ma la sua influenza fu decisiva: frequentatore dell’American Enterprise Institute accanto a figure come Richard Perle e Lynne Cheney, spinse per un cambio di regime in Iran ben prima della guerra in Iraq, sostenendo che il crollo della teocrazia iraniana avrebbe innescato un effetto domino su tutta la regione, fino a Hezbollah, Hamas, e la questione palestinese. Per Ledeen, la «liberazione» voleva dire esportazione forzata dei valori occidentali la chiave per sradicare il «cancro» dell’islamismo radicale.

Per Ledeen, l’Iran non ha mai rappresentato solo una minaccia geopolitica. Era, ed è, il cuore nero di una civiltà in rovina. Ma a suo avviso non occorreva nemmeno una guerra tradizionale: bastava «accendere la miccia», potenziare la propaganda televisiva, sostenere economicamente e militarmente le opposizioni interne, e il regime sarebbe crollato sotto il peso delle sue contraddizioni. Le sue analisi – basate su una visione quasi messianica del popolo iraniano come il più filo-americano della regione – non hanno retto alla prova dei fatti, ma hanno contribuito a plasmare l’ideologia del «regime change» su cui si fondano anche gli slogan che vediamo nei social dei monarchici iraniani della diaspora e in alcuni filoisraeliani della destra europea.

In Italia, tra i più ferventi seguaci delle idee di Ledeen figuravano Christian Rocca e diverse figure della galassia "fogliante", che spesso confondevano la «Dottrina Bush» con le teorie del suo mentore neocon. Eppure, come osservato dai critici più attenti, la vera "surge" che Ledeen rivendicò come un trionfo delle sue tesi - quella guidata dal generale David Petraeus - si basava su principi opposti: negoziare con i nemici, cooptare ex miliziani, trovare compromessi sul campo, piuttosto che imporre una visione etica assoluta della guerra tra Bene e Male. Petraeus, pur portando avanti una guerra ingiusta e llegale, cercava stabilità; Ledee cercava la rivoluzione.

Ladeen del resto teorizzava che il mondo fosse scosso da una guerra globale fra «l’Islam radicale e i suoi alleati», cioè una coalizione che includeva regimi secolarizzati come Russia e Corea del Nord, uniti solo dall’odio verso la democrazia liberale. Ledeen non distingue tra sunniti e sciiti, tra fondamentalismi religiosi e nazionalismi laici. Tutto ciò che si oppone all’Occidente era parte di un’unica «internazionale del male».

Ma la sua visione si spingeva oltre. Ledeen considera l’intera civiltà islamica come fallita, incapace di produrre modernità, democrazia o cultura. E anzi, sostiene che questa consapevolezza muovesse gli islamici radicali ad attaccare l’Occidente, visto come specchio di ciò che non sarebbero mai stati. Era un giudizi coloniale, ideologico, e intriso di un determinismo culturale che riduceva la complessità delle società islamiche a una patologia collettiva.

Non era un pragmatico, Ladeen, né un realista: era un ideologo puro, convinto che la storia avesse una direzione univoca, quella della vittoria statunitense, e che ogni compromesso fosse una resa. Il suo pensiero influenzò profondamente molte riviste per élite benestanti del XXI secolo, ma fu anche stato travolto dai suoi stessi fallimenti: l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, l’Iran stesso.

Tuttavia, come un Honecker neocon, Ledeen e i suoi adepti continuarono a sostenere che la loro visione fosse giusta, e sbagliata soltanto l’esecuzione. Nei suoi scritti, nei suoi consigli, e nelle sue analisi, la complessità scompariva per lasciare spazio a una narrazione salvifica e apocalittica, in cui l’America è sempre nel giusto e i suoi nemici sempre votati al male. È una visione che troverà imitatori nella storia recente, e che riemerge ogniqualvolta l'egemone imperiale si sente fragile, assediato, o semplicemente allo sbaraglio.

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