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Questione curda: PKK annuncia lo scioglimento
di Leandro Leggeri
Con un annuncio destinato a segnare un punto di svolta nella tormentata questione curda, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha dichiarato la fine della lotta armata e l’intenzione di sciogliersi. La decisione, approvata durante un recente congresso del movimento, fa seguito a un appello lanciato dal leader storico Abdullah Öcalan, detenuto dal 1999, che ha invitato il gruppo ad abbandonare definitivamente la via militare. Dopo 43 anni di guerriglia, il PKK ha riconosciuto che “non esistono più le condizioni per la lotta armata”.
Il PKK nacque nel 1978, sotto la guida di Abdullah Öcalan, come reazione alla sistematica negazione dell’identità curda in Turchia, dove per decenni parlare curdo era vietato, e l’esistenza stessa dei curdi era ufficialmente negata. Ispirato al marxismo-leninismo e al nazionalismo curdo, il movimento puntava inizialmente alla creazione di uno Stato curdo indipendente nei territori storicamente abitati dai curdi e divisi tra Turchia, Iraq, Iran e Siria.
Nel 1984 il gruppo avviò una campagna armata contro lo Stato turco, dando il via a uno dei conflitti più lunghi e complessi del Medio Oriente. Negli anni ’90 la guerriglia si intensificò, mentre Ankara rispondeva con una durissima repressione: vaste aree curde furono militarizzate, migliaia di villaggi evacuati o rasi al suolo, e si moltiplicarono arresti, torture e sparizioni forzate. Il bilancio umano è devastante: oltre 40.000 morti e milioni di sfollati, con profonde ferite ancora aperte nel tessuto sociale turco e curdo.
Nel 1999, Abdullah Öcalan venne catturato in Kenya con la collaborazione dei servizi segreti internazionali e consegnato alla Turchia. Condannato all’ergastolo per separatismo e terrorismo, è detenuto in isolamento sull’isola-prigione di İmralı.
Nonostante la detenzione, Öcalan ha continuato a esercitare una forte influenza sul movimento, guidandone nel tempo una profonda evoluzione ideologica. Ha infatti abbandonato la prospettiva statuale in favore di un progetto di confederalismo democratico, basato su autonomia locale, ecologismo, parità di genere e convivenza tra popoli.
Negli ultimi anni, il leader curdo ha più volte invocato la fine della violenza e l’avvio di un processo politico. La decisione attuale del PKK rappresenta, almeno formalmente, la realizzazione di quella linea.
La notizia dello scioglimento è stata accolta positivamente da diversi attori internazionali e da parte dell’opinione pubblica, che vi vedono una possibile apertura verso una nuova stagione di dialogo tra Ankara e il mondo curdo. Ma le reazioni non sono unanimi. Diversi esponenti curdi esprimono scetticismo, sottolineando che le ragioni che portarono alla nascita del PKK — repressione politica, negazione dei diritti linguistici e culturali, esclusione sociale — non sono mai state realmente superate. Anzi, secondo molti, il clima politico in Turchia è peggiorato, con un progressivo restringimento delle libertà democratiche.
C’è poi chi legge questa mossa in chiave strategica. Secondo alcuni analisti, la decisione del PKK potrebbe essere legata ai nuovi assetti geopolitici mediorientali. In particolare, si parla di un possibile riallineamento del movimento nell’ambito del cosiddetto “Grande Medio Oriente”, un progetto che vedrebbe i curdi assumere un ruolo centrale in equilibrio tra potenze regionali e interessi internazionali.
Lo scioglimento del PKK chiude simbolicamente un capitolo lungo più di quarant’anni. Ma la questione curda resta irrisolta. Si apre ora una fase nuova, in cui la battaglia per i diritti potrebbe spostarsi dal fronte armato a quello politico e istituzionale. Resta da vedere se la Turchia — e la comunità internazionale — saranno pronte a cogliere l’occasione per affrontare finalmente le cause profonde di un conflitto che ha segnato intere generazioni.
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