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08 maggio 2025
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Il cibo è un'arma (parola di Goebbels)
di Rinaldo Battaglia *

“Nahrung ist waffe” (‘Il cibo è un’arma’) fu un pilastro del re della propaganda Joseph Goebbels, con molta frequenza ripetuto durante il regime nazista, un po’ come il nostro ‘dio, patria & famiglia’ brevettato da Giovanni Host-Venturi, già nel 1926 quando nessuno al mondo sapeva chi fosse Goebbels.

E con tale concetto tutti i ricatti della fame, usata come arma di guerra, vennero assorbiti, accettati, applicati dai nazisti. Ma non solo: anche dai nostri fascisti. Solo che in Italia non lo diciamo.

A sentire il Premier è sempre stata tutta colpa dei nazisti (alle Fosse Ardeatine in particolare), lo stesso a sentire il numero uno del mio Veneto (il 25 aprile 2020) quando, parlando della Resistenza, la definì ‘contro un esercito invasore’. Entrambi dimenticando le tremende ed immense colpe dei fascisti italiani.

Come non bastasse, nell'aprile 2024 un candidato alle Europee (poi eletto) su Rete4 ha sostenuto, con forza, come Benito Mussolini sia stato a suo dire uno ‘statista’, peraltro nei giorni in cui ricorreva il 79° anniversario della sua fuga - come un ladro, su un camion tedesco, vestito da soldato di Hitler - e della sua successiva uccisione.

Ma - lo si sa – elettoralmente conviene sempre raccontare la Storia a proprio uso e consumo, tanto chi si accorge, chi protesta? Ed è così ancora oggi con la forte strumentalizzazione della fame nei conflitti per scopi politici, utilizzandola a tutti gli effetti come un’arma di guerra – vedasi Ucraina, vedasi Gaza – nonostante le molteplici risoluzioni ONU (la 247 in particolare). È così oggi, figuriamoci quindi 80 anni fa.

È a pagare il conto rimangono sempre e ancora i civili e soprattutto i bambini. Oggi per sottolineare quanto detto, vi racconto di una bambina di Valdaso (frazione di Ortezzano, vicino a Fermo nelle Marche). Quando venne uccisa aveva solo 9 anni. Il suo nome era Maria Teresa, Maria Teresa Nicolai.

Lo scorso 3 luglio avrebbe compiuto 90 anni, ma la sua età invece si fermò per sempre il 2 marzo 1944. E ad ucciderla non furono i cattivi nazisti tedeschi ma gli uomini del Duce, dello 'statista', i soldati della GNR, la Guardia nazionale repubblicana, e per ordine dei fanatici federali fascisti del paese. Qui in questo specifico crimine non si parla tedesco, ma solo ed esclusivamente italiano. Italiani le vittime, italiano il contesto, italiani i mandanti, italiani i carnefici. Non ci sono suonatori tirolesi in pensione per tranquillizzare i fans del Presidente del Senato e trovare un alibi ai colpevoli.

Vedete: le grandi colpe commesse dal Duce dai suoi 1.283 ‘criminali di guerra’ (almeno così stando al War Crimes Commission dell’ONU) non furono solo le infami Leggi Razziali del ’38 e le guerre volute, cercate, programmate fino all’ultima, quella della pugnalata alla schiena del giugno ’40. Non solo. Fu essenzialmente avere ridotto alla fame un paese intero, dove soprattutto nel ’43 e ’44 la disperazione per la ricerca del cibo per sé e soprattutto per i propri figli portò a situazioni innaturali, da uomo delle caverne, degne neanche del mondo animale. Si arrivò a vendere persino altri italiani, ebrei in primis, bene pagati dai fascisti e dai nazisti. Anche 5.000 lire per un uomo, 3.000 per una donna, 1.500 per un bambino quando il salario di un italiano nel 1943 era di 4.238 lire all’anno. Per chi aveva un lavoro e soprattutto un salario, ovviamente. Vendere anche il tuo vicino di casa divenne così per molti una via di salvezza, talvolta anche per i meno fanatici del fascismo. Anche un modo - atroce e diabolico - per riempire la pancia ai tuoi figli.

A Roma il 26 marzo 1944, neanche giorni dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine, quando il terrore serpeggiava e si palpava nell’aria, il generale Kurt Malzer, comandante S.S. di Roma, impose la riduzione della razione pro-capite di pane al giorno: da 150 a 100 grammi, cioè nulla o quasi. Tanto per capirci: nei lager nazisti era prevista una dose di almeno 250 grammi di pane al giorno per ogni prigioniero, stando ai rigidi dettami del ministro Herbert Backe.

La fame spinse la gente a reagire dove e come si poteva e come nella Milano al tempo di Renzo e Lucia, iniziarono gli assalti ai forni e ai trasporti di pane. Il 'meno sconosciuto' fu l’assalto del 7 aprile 1944 al forno Tesei, a Roma, quello che forniva la milizia fascista e le truppe tedesche. La reazione fu feroce ed immediata: presero 10 donne, le prime che riuscirono a catturare, le disposero contro la ringhiera del ponte, la faccia verso il Tevere e mentre qualcuna pregava, qualcuna gridava, i nazisti spararono. «Come si ammazzano le bestie al macello» dirà poi qualcuno che era alla finestra.

Questo nella capitale. Un mese prima, a tarda sera del 1° marzo 1944, nella piccola Valdaso di Ortezzano la fame spinse alcuni civili ad assaltare i silos e i magazzini dell’ammasso del grano dell’allora consorzio agrario provinciale. Mai si seppe l’identità degli autori, anche perché non furono in pochi. Furono azioni così repentine e massicce che i due custodi, sia quello dei silos (Quintilio Carboni) che del magazzino (Francesco Simonella) furono costretti a scappare in fretta per non essere travolti. Non ci volle molto tempo che, in brevissimo, in tutta la zona, in tutte le campagne limitrofe, ognuno venne a sapere della possibilità di recuperare un po’ di farina per il pane e per la polenta. La fame era fame, la disperazione ancora peggio. E a nessuno passò per la testa i pericoli di quell’azione.

John Steinbeck, in ‘Furore’, quando descriveva la grande fame degli anni della depressione americana dopo il 1929, usò parole perfette per spiegarlo: «Come fai a spaventare un uomo quando quella che lo tormenta non è fame nella sua pancia ma fame nella pancia dei suoi figli? Non puoi spaventarlo: conosce una paura peggiore di tutte le altre».

Anche nella piccola Valdaso di Ortezzano la disperazione superò i rischi. E i fascisti del posto che gestivano e controllavano quei silos e quei magazzini non potevano permetterselo: primo perché la consideravano 'cosa propria' in nome loro e del Duce, secondo perché, se i civili fossero rimasti alla fame difficilmente avrebbero potuto soccorrere e alimentare i partigiani. Perché – lo si sa - anche i partigiani avevano bisogno di mangiare per sopravvivere e combattere i nazifascisti. Bertolt Brecht, non a caso, diceva a suo tempo: ‘prima viene lo stomaco poi la morale’.

Immediatamente i federali fascisti di Ortezzano capendo cosa stesse succedendo, informarono i loro capi in Provincia e, in meno che si dica, nella piccola Valdaso arrivarono decine e decine di soldati della GNR. E giunti ai silos e ai magazzini assaltati - e ora preda dei padri e delle madri di famiglia alla ricerca disperata di portarsi a casa un po’ di farina – iniziarono a sparare ad altezza d'uomo. Caos totale e violenze assurde. Era l’alba del 2 marzo.

Quando tutto fu finito a terra rimasero 4 persone. Solo una donna, Maddalena Monaldi, sebbene ferita gravemente ad una gamba, si salverà. Ma due bambini, Rosa Verducci di neanche 12 anni e la piccola Maria Teresa, e un padre di famiglia di 54 anni, Luigi Antonio Mercuri, era già morti.

Non vorrei esser stato quel giorno al posto di Umberto, padre di Maria Teresa, e di Vincenzo, padre di Rosa. Avevano lottato – come diceva Steinbeck - non per la loro ‘pancia’ ma per quella dei loro figli. E ora quei figli non c’erano più, uccisi da uomini del Duce, in nome del Duce, da italiani come loro. Il 7 aprile al Forno Tesei erano stati i nazisti ad uccidere, qui no.

Come la mettiamo allora: sempre colpa degli altri come diceva il Premier alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 2023? O ‘dell’esercito invasore’? Forse sarebbe opportuno che lo spiegassero – anche 80 anni dopo - ai familiari di Rosa e peggio ancora di Maria Teresa.

Per giusta conoscenza, a guerra conclusa, tutto finì lì. A dire il vero, già ancora prima. Inizialmente i fascisti del posto accusarono i due custodi di esser stati ‘coadiutori’ di chi assaliva i silos e i magazzini della farina. Quintilio Carboni e Francesco Simonella vennero così arrestati e incappucciati per essere fucilati. Poi intervenne qualcosa e qualcuno si sarà domandato il senso di quella condanna. La gente del posto sapeva chi erano i veri colpevoli di quelle 3 morti e non certo quei due, che vennero poi trasferiti ad Ascoli (allora la loro provincia) ed infine rilasciati.

Ma non poteva bastare: qualche giorno dopo l’eccidio la prefettura di Ascoli – uomini scelti personalmente dal Duce, lo 'statista', come tutti gli altri prefetti – “rilevando la gravità dell’atto di quella popolazione, indice di manifesta ribellione alle leggi, comminava al comune un’ammenda collettiva di un milione di lire, da corrispondere in proporzione della singola capacità contributiva, nonché della responsabilità avuta nell’operazione di prelevamento”.

Così scrissero importanti storici che dedicarono i loro studi anche all’eccidio di Valdaso (Mimmo Franzinelli, in “Le stragi nascoste: l’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti, 1943-2001”, Mondadori, Milano 2002, pag. 45-46 oppure Marcello Gaspari in “Storia di Ortezzano”, Lineagrafica, Centobuchi-Monteprandone 2000 e Ruggero Giacomini, in “Ribelli e partigiani, affinità elettive”, Ancona 2008).

Niente altro, nessuna giustizia, nessuna condanna per gli assassini di Maria Teresa, uccisa a nove anni da italiani in nome del Duce. Che sia da informare chi - anche dopo 80 anni la fine ufficiale della Seconda Guerra Mondiale in quell' maggio 1945 - continua a sostenere che Mussolini era uno 'statista' e peggio che sempre tutto avvenne per colpa degli altri o dell’esercito invasore?

8 maggio 2025 – 80 anni dopo – Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio

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