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07 maggio 2025
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Napoli in piazza e il Comune corre ai ripari
di Paolo Mossetti

Sono passato dal sit-in sotto il Municipio a Napoli, in protesta contro il silenzio del Comune a guida di centrosinistra per il suo essersi schierato tutto dalla parte dei turisti israeliani del video, e per il silenzio di fronte al trattamento subito dalla ristoratrice Nives Monda. Ad occhio un migliaio di persone, arrivate nel tardo pomeriggio: studenti di liceo e universitari, attivisti pro-Gaza, sindacati di base, tanti insegnanti, qualche firma di Repubblica a titolo personale, tanta classe media ma anche tanti turisti di passaggio.

C'è in molti stupore per il soccorso robotico, improvvido di istituzioni tradizionalmente vicine al dramma palestinese verso i due turisti («Come se fossero stati rapinati», commenta un tipografo) nonostante quel filmato percepito dal popolo di sinistra e non solo come vigliacco, scomposto e inaccettabile. La tesi che si sta diffondendo, visti anche alcuni episodi precedenti e successivi al fattaccio che emergono in Rete, riguardanti i suoi protagonisti, non è più solo quella della reazione spropositata, del vittimismo ideologico che trova sponde in una politica balbettante, ma della premeditazione. Della trappola mediatica.

Nives non c'è, non vuole su di sé i riflettori, già scossa per le minacce legali, le indagini, le innumerevoli telefonate di intimidazione da tutto il mondo: «Non è una storia che riguarda più me», fa sapere. Oggi dovrebbe incontrare l'assessora al Turismo, una moderata ex democristiana di sinistra, e forse il sindaco Manfredi, che ha accettato una cerimonia in onore di Assange e l'ovazione della Federico II per Francesca Albanese, ma non è strutturalmente fatto per gestire queste beghe.

E in effetti il Comune sembra già ieri essere corso ai ripari per evitare una pentola bollente al centrosinistra: in due note, nel sottolineare la propria equidistanza tra Israele e Palestina, ha ammesso nei fatti di non aver sentito la versione della ristoratrice accusata di antisemitismo, né di avere visto quell'incredibile video.

C'è in piazza più indignazione e sconcerto che rabbia antisraeliana, e certamente nessuno sfogo antiebraico. C'è la paura di vedere perduto per la città lo status privilegiato di spazio in cui si può solidarizzare con la causa palestinese e criticare radicalmente l'andazzo israeliano, l'incapacità autocritica delle leadership ebraiche italiane senza gli arzigogoli e le citazioni "hipster" a cui sono costrette a Roma e a Milano redazioni e salotti, annullano ogni efficacia e disturbo.

C'è la frustrazione per un brand Napoli che vuole la ristorazione turistica progressivamente depoliticizzata, ridotta ai camerieri-clown di Nennella, impossibilitata a una interazione polemica con la clientela sfacciata. Un'opera conformizzante che molti in piazza oggi temono possa avviluppare una città che per molti anni, specie durante la Prima Repubblica, è stata un territorio in cui si potevano superare le rigidità dei due blocchi, dove si coltivava una linea originale di contatto con i Paesi del Sud Mediterraneo, che di solito si definisce riduttivamente filoaraba, ma che in realtà era soltanto mirata a riequilibrare, con un contributo mediatorio originale, il legame preponderante Usa-Israele determinatosi dopo il 1967.

Ci sono tanti napoletani di sinistra che hanno visto la Democrazia Cristiana, che governava la città negli anni Ottanta, incarnare un filone di politica estera italiana capace di questa articolazione, anche rispetto al conflitto israelo-palestinese. La paura, insomma, è che il pappagorgismo mentale che ha spinto il Comune a offrire caffè, pizze e sfogliatelle a una parte sola conduca la città nel filone centro-liberale europeo che ha messo fuori gioco la tradizione precedente - Giuliano Ferrara la chiama dei «serpenti» - contrapponendola alla recente ripresa di un atlantismo tutto d’un pezzo di Letta, o di Mattarella.

La piazza di Palazzo San Giacomo vuole capire dove sta andando la città. A Praga o Berlino? Questo sit-in non sarebbe stato tollerato.

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