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07 maggio 2025
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Quanti morti possiamo sopportare?
di Elisa Fontana

E’ da un po’ di tempo che una domanda molesta e irriguardosa mi gira in testa senza darmi requie: ma qual è la soglia di tollerabilità che noi esseri umani abbiamo nei confronti dei cadaveri?

Vedo di spiegarmi meglio. Sono anni ormai che assistiamo alla totale spersonalizzazione della morte: guerre, attentati, incidenti, terrorismo, carestie producono morti in quantità, ma temo siano diventati solo freddi numeri nella contabilità della morte. Non vediamo dietro di essi gli uomini, le donne, i bambini morti, la loro vita, la loro storia, le loro famiglie, i loro sogni e bisogni. Non ci compenetriamo, non esprimiamo nessuna umana pietas. No, i morti sono ormai diventati solo un’arida contabilità mortifera che tutto ingloba indistintamente e tutto confonde, fino a rendere tutto una normale routine, persino un po’ fastidiosa.

E quello che accade in questi tempi terribili che attraversiamo e che mi lascia attonita e piena di domande senza risposte. Qual è la nostra personale soglia di tollerabilità nei confronti dei cadaveri dei palestinesi? Quanti ancora ce ne vogliono, oltre i 60 mila già accertati sicuramente per difetto, per smuovere le nostre coscienze totalmente addormentate? Per esigere dai nostri governanti non solo nazionali, ma europei, di smettere di balbettare o di tacere del tutto e chiamare le cose con il loro nome e battersi per mettere fine a questa carneficina?

Qual è la soglia di tollerabilità nei confronti dei morti nella guerra in Ucraina, di cui non sappiamo con esattezza e certezza nemmeno il numero? A cosa si deve arrivare prima di smuovere le nostre coscienze, i nostri personali egoismi, la nostra indifferenza per esigere di smetterla con i giochetti, i posizionamenti, le estorsioni politiche ed economiche che ruotano intorno a tutte queste tragedie?

Ma la soglia di tollerabilità non vale solo per i numeri enormi di guerre e genocidi. Qual è la nostra personale soglia di tollerabilità davanti agli oltre 205 cadaveri di lavoratori morti in Italia in incidenti di lavoro dal 1° gennaio ad oggi? Ci sembrano pochi? Possiamo tollerarli senz’altro? Aspettiamo che sfondino il muro dei mille, come ogni anno, per inarcare un sopracciglio?

E a quale soglia di tollerabilità scatta la nostra personale percezione davanti a 22 suicidi nelle nostre carceri nei primi tre mesi del 2025? Anche questi sono cadaveri, ma diventano facilmente solo numeri aridi e fastidiosi.

So benissimo di scoprire l’acqua calda, di parlare di atteggiamenti e comuni sentire che sono ormai entrati nella normalità del vivere quotidiano e non ci facciamo più nemmeno caso, un morto vale l’altro, una carneficina vale l’altra, tanto noi non possiamo fare niente, ci consoliamo. Ecco, a parte il fatto che volendo, tante cose si possono fare, ma una sola a me pare essere essenziale in questo frangente storico: pensare. Pensare se davvero ci sta bene esserci ridotti come esseri primitivi che accolgono la morte di altri uomini come l’ineluttabile sacrificio alla involuzione della specie, come qualcosa che non solo non ci riguarda, ma, peggio ancora, non ci interessa proprio.

No, non ci interessa, come non ci interessa del pensionato morto stanotte al lavoro perché aveva bisogno di lavorare per vivere e, invece, ha lavorato per morire. No, non ci interessa, come non ci interessa di quel neonato palestinese morto di fame ieri che pesava un chilo e mezzo. Non ci interessa, altrimenti avremmo già travolto con la nostra rabbia, pacifica ma inflessibile, tutti coloro che ci trovano gesuitiche giustificazioni alle guerre, ai genocidi, alle ingiustizie, con i loro “ma”, “però”, “vedremo”, “faremo”.

La realtà è proprio questa, questa gente ci governa, ci prende in giro, ci intorta come meglio crede in tutto il mondo perché a noi, ex esseri umani, non ci importa nulla al di là della punta del nostro naso. Sarà un bell’epitaffio da scrivere sulle cause della nostra estinzione dal genere umano: “non fu un meteorite ad estinguerli, ma una soglia incommensurabile di tollerabilità ai cadaveri che li rese come pietre”.

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