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Macchine per soffrire
di Alessandro Ferretti
Man mano che anche gli ultimi sacchi di farina avariata si esauriscono, le voci da Gaza restituiscono scenari di apocalisse. Ezzidin Shehab racconta la profondità dell’abisso in cui Israele ha fatto precipitare Gaza: “una lenta discesa in un mondo subumano, dove l’unica moneta rimasta è la disperazione”. Sul marketplace di Facebook i sopravviventi cercano di scambiare una lattina di fagioli scaduti per un cucchiaio di zucchero, pannolini per latte materno in polvere, un refolo di gas da cucina per una manciata di farina.
"La fame ha il potere di restringere l’intero universo a un singolo punto: lo stomaco". Eppure, anche in questa orrenda discesa negli inferi, i palestinesi incredibilmente mantengono una coscienza. Alcuni raccontano piangendo di aver catturato e mangiato tartarughe marine. Piangono perchè sentono, nonostante tutto, il bisogno di giustificarsi: “sappiamo che è una specie in pericolo, ma l'estinzione non significa nulla quando sei tu stesso a essere sull'orlo dell'estinzione (…) quando mi guardo allo specchio non vedo più un uomo, ma una macchina per soffrire.”
Ezzideen racconta anche di un suo collega medico che “dorme tutto il giorno per risparmiare energia e resta sveglio la notte per evitare i sogni. In uno di questi, gli viene servito un banchetto in paradiso. Si rifiuta di mangiare. "Non finché altri muoiono di fame", sussurra. Anche nei sogni la coscienza rifiuta conforto.“
Per altri, sempre più numerosi, la sofferenza ha trasformato la vita in un dolore continuo, talmente insostenibile da far superare la soglia della paura della morte. Lo racconta, ad esempio, Omar Hamad: “La nebbia della morte incombe all'orizzonte, ma io non la temo. A volte sorrido e altre volte rimpiango coloro che mi hanno preceduto. Non ho più paura dei bombardamenti, né del rumore degli aerei e dei cannoni.
I carri armati si muovono e svaniscono in lontananza, e io cammino forte verso la mia morte, eretto come le montagne. Io non cado, resto fermo a testa alta. Io non cado e non cadrò. Con le mie stesse mani allontanerò la mia insensata fame e respingerò chiunque si metta sulla mia strada. Questa morte non mi spaventa più. È questa vita che mi spaventa di più.”
Ma la coscienza dell’Occidente rimane silenziosa. I giornali continuano imperterriti a mentire, nascondere, giustificare, per la gioia dei benpensanti. Intendiamoci: sanno perfettamente che le azioni di Israele sono intollerabili, ma pur di non agire prestano acriticamente fede ad ogni bugia che Israele spaccia (e la nostra stampa rilancia) per cercare di giustificare l’ingiustificabile. Non c’è bisogno che siano credibili, a loro serve solo una scusa da addurre per giustificare la loro ignavia.
Tra i benpensanti, eterni ed arroganti dispensatori di giudizi morali autoriferiti, la sola idea di esprimere dissenso verso questi orrori senza precedenti è tabù. Si sono riempiti la bocca per anni con la retorica dell’antifascismo, proclamandosi difensori dell’umanità, e ora che il fascismo genocida dilaga in Occidente fingono di non vedere per semplice paura, per il terrore di doversi mettere contro il potere costituito.
La morte di Gaza è anche la loro morte. Sono cadaveri ambulanti, privi di umanità, che per paura rinunciano per sempre alla loro rispettabilità, illudendosi pietosamente che i giusti alla fine si arrenderanno all’inutilità dei loro sforzi e finiranno magari per perdonarli.
Non sarà così: come dice Ghassam Abu Sittah, testimone diretto della ferocia israeliana, “la resistenza non è un mezzo, ma è lo scopo. Resisteremo anche se la furia genocida sarà inarrestabile”. E quando la marea dell’indignazione inevitabilmente travolgerà i responsabili del genocidio, non ci dimenticheremo di nessuno dei loro complici: ognuno avrà la parte che si è guadagnata con la sua codardia.
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