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01 maggio 2025
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Fuoco e fiamme
di Rossella Ahmad

Nel fuoco che sta devastando la Palestina occupata vedo la mano dell'Uomo Cattivo. Dell'uomo che si è appropriato con violenza di un territorio bellissimo, bucolico, amabile per paesaggi ed umanità, e lo ha trasformato in un inferno, secondo tutti i canoni possibili. Le fiamme che ardono ne sono il simbolo visivo, che i nostri occhi percepiscono ed associano immediatamente allo scempio della terra, che prosegue indisturbato da cento anni.

Non provo soddisfazione nel vedere la Palestina che brucia, al di là dell'innegabile fuck off indirizzato ai coloni che scappano come lepri - ma il paragone più immediato è un altro - sperimentando un millesimo della miseria inflitta ai nativi . Come la madre del mito salomonico, il mio cuore piange nel vedere la bellezza di quella terra amata violata in maniera sistematica, e non da oggi.

Quella è Palestina, e per me lo sarà per sempre, indipendentemente dal nome storpiato che le occupazioni le hanno dato nei millenni, di cui questo ultimo è il più scrauso. Diversamente dalla madre salomonica, invece, non arrivo al punto di volerlo consegnare interamente nelle mani del prevaricatore. E neanche a pezzi.

Nel mio cuore so che tutto il territorio - non so quando ma è certo che avverrà - tornerà al suo popolo perché la storia ed il cosmo riparano sempre i loro errori, e mi duole vederlo devastato. Ma, come ho detto in precedenza, la distruzione del territorio palestinese ha origini più lontane nel tempo, e comincia con le selvagge incursioni delle bande terroristiche sioniste Irgun, Levi-Zeumi, Hagana e Stern e con la distruzione sistematica di centinaia di villaggi palestinesi, delle loro vestigia storiche, delle più antiche chiese della cristianità, fatte esplodere e poi trasformate in locali di striptease e divertimentifici american style, delle centinaia di migliaia di alberi di olivo - simbolo imperituro della Resistenza nella terra di radici profondissime - estirpati e dati alle fiamme.

In particolare, l'area che sembra più colpita dal fuoco è quella oggi chiamata Canada Park, creato dalla comunità ebraica del paese nordamericano dopo la conquista israeliana delle terre palestinesi del 1967.

Il parco, per la costruzione del quale furono racimolati 15 milioni di dollari - qualcosa come cento milioni secondo il cambio attuale - vide la luce nel 1972, ed inglobò le rovine dei villaggi palestinesi di Imwas, Yalo, Beit Nuba e Deir Ayyub, distrutti e dati alle fiamme durante la Nakba del 1948.

Un particolare che dà il senso dello scempio territoriale perpetrato dal sionismo: la creazione del parco privilegiò l'impianto di specie arboree differenti da quelle autoctone - il pino canadese e le conifere in luogo di olivi, melograni e mandorli , specie cioè a rapida crescita e sempreverdi - poiché vi era la necessità di occultare permanentemente le rovine palestinesi ed ostacolare il ritorno degli abitanti dei villaggi distrutti, espulsi a seguito della più grande campagna di pulizia etnica in Palestina.

Chi di spada ferisce, di spada perisce, sempre. È una legge della natura, codificata in millenni di storia umana.

Chi fa il male dovrebbe sempre tenerlo a mente. E siano benedetti i venti del cambiamento.

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