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Chiedere a chi subì il ventennio
di Roberto Rizzardi
"ORA È COMODO GIUDICARE A DISTANZA. BISOGNA AVERLE VISSUTE, LE COSE. E NOI AVEVAMO SOFFERTO TROPPO".
Messa una breve distanza dall’ottantesimo anniversario di quel 25 aprile che chiuse il finora più disastroso capitolo della storia dell’Italia unitaria, anniversario così viscidamente osteggiato dagli eredi di quell’infame ideologia di morte e sopraffazione che ci stanno governando, vorrei ricordare le parole che Franca Valeri espresse ricordando quel che accadde poco dopo quel giorno di glorioso riscatto, quando i corpi senza vita di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi fascisti vennero esposti in Piazzale Loreto, nell’esatto posto nel quale, poco meno di un anno prima, i militi della Brigata Muti fucilarono quindici partigiani, lasciando poi esposti a scopo intimidatorio i cadaveri scomposti sotto il sole della calda giornata estiva, coperti di mosche, impedendo ai parenti di avvicinarsi.
Così si espresse la Valeri, con il suo stile asciutto ed essenziale:
«Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada.
Ma io volevo vedere se il Duce era davvero morto. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà.
Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo».
Per me la giovinezza incominciò il 25 aprile: una giovinezza tardiva. Ma è stata bella. In quell’Italia tutto pareva possibile”.
Bisognerebbe chiederlo a chi ha sopportato quei tempi se essere "sobri" in un giorno che commemora la liberazione da un pesante giogo di cupa e sanguinosa oppressione sia una scelta adeguata, soprattutto oggi che gli eredi dell'ideologia che portò la nazione, allora meno che centenaria, ad un passo dalla sua disgregazione brigano per reimporre le basi di quel credo politico.
Ascoltando, da ragazzo, i testimoni di quella stagione, alcuni dei quali tra l’altro avevano vestito l'orbace, compresi che dopo il tragico 8 settembre ’43 si possono a grandi linee individuare due grandi categorie: quelli che non vissero, o vissero per tempi più brevi, nello stato fantoccio asservito al III Reich conosciuto come Repubblica Sociale Italiana, e quelli che subirono integralmente il regime di terrore vigente in quel simulacro di nazione, soprattutto quando gerarchi e miliziani sentirono la sconfitta sempre più vicina, facendosi via via più spietati e disumani, ben oltre i già notevoli livelli iniziali.
Esiste una piuttosto definita distribuzione, anche geografica, del tasso di “nostalgismo”, tra coloro che vissero quel tragico periodo, una segmentazione che risponde al criterio di suddivisione che ho appena delineato.
Più si è patito il peso dell’occupazione nazista e del collaborazionismo fascista, meno si è inclini a rivalutare “sobriamente” quell’esperienza, mentre chi non ne fu esposto può più facilmente romanticizzare un regime tra i più fallimentari e sanguinosi della nostra storia, indulgendo in benevole valutazioni, notevoli soprattutto per la loro ipocrita parzialità.
Discorso a parte, naturalmente, per i fascisti convinti che aderirono alla RSI, dopo aver attivamente animato il fatale ventennio, o che lo avrebbero fatto se non già raggiunti dall'avanzata degli Alleati.
Si tratta in questo caso di soggetti che non hanno mai cambiato idea e che si nascosero in attesa di tempi “migliori”, una volta raggiunti dalla loro nemesi, riemergendo quando ritennero di non correre più alcun pericolo.
Due, a mio parere, sono i fattori che hanno facilitato l’avvento del primo governo (post? neo?) qualcosa-fascista dell’Italia repubblicana. Il primo è la natura traditrice e fellona di ciò che passa per sinistra in Parlamento, che ha disgustato un elettorato che non ha più riferimenti cui rivolgersi, mentre la destra raccoglie i voti di una minoranza che diviene maggioranza per l’effetto “lente” dell’astensione, il secondo è che i diretti testimoni del secondo conflitto mondiale sono sempre meno, e quindi coloro che sono nati dopo si ritrovano, idealmente, nella condizione di coloro che non vissero nella RSI, con ciò che la cosa comportò.
I racconti edulcorati della propaganda meloniana, le narrazioni false e tendenziose, le analisi mendaci e capziose, sempre condite da quella codardia morale che porta a imporre il proprio arbitrio senza assumersene la responsabilità, passano più facilmente presso chi non ha avuto esperienza diretta di ciò che comporta il fascismo nelle sue varie gradazioni, e l’assenza di un’opposizione credibile, coerente e immune da furbizie e maneggi di laido sottogoverno non offre riferimenti e validi rimedi al fatale languore che ci sta conducendo verso il precipizio.
 
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