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26 aprile 2025
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Il giovedì di sangue di Lonigo
di Rinaldo Battaglia *

Il 25 Aprile è passato alla Storia come il giorno della Liberazione dal nazifascismo, anche se non tutti se ne rendono, 80 anni dopo, ancora conto. E talvolta offendendo chi, per quel giorno, sacrificò la vita.

Nella mia nativa Lonigo, purtroppo, la Storia ricorda soprattutto il giorno seguente, giovedì 26 aprile 1945. In quel primo pomeriggio, nelle concitate fasi della liberazione della cittadina, 4 giovani partigiani, tutti armati, furono catturati nelle vicinanze della fattoria Castellan, in Via Cimitero, mentre stavano portando aiuto ai compagni impegnati in Via Santa Marina, loco lontano.

Vennero subito portati al comando nazista in Piazza Garibaldi, presso l’albergo Croce Verde, e nonostante le rassicurazioni date all’allora arciprete mons. Caldana – da grande uomo, subito intervenuto - furono invece fucilati uno alla volta in via Marona, insieme a un quinto partigiano. Erano ragazzi del paese: il più anziano Pietro Burattin aveva 24 anni, Dino Fasolin non aveva ancora vent’anni, mentre i due fratelli Ziggiotto, uno Angelo 21 ed Alberto era della classe 1929, 16 anni. Il quinto era un partigiano sardo, Giovanni Motta, operativo in zona: non si è mai saputo dove fosse stato catturato e pare sia stato ucciso col “pugno corazzato’.

Persino l’interprete austriaca, Ildegarte Polster, che aveva partecipato ai colloqui, rischiò quel giorno di essere fucilata dai nazisti e solo per miracolo, avendo intuito il pericolo, riuscì a fuggire per tempo.

Responsabile dell’eccidio venne individuata in una colonna del 3° Btg., 10° Regg., della 4° Divisione Paracadutisti comandata dal Maggiore Alfred Grundmann, che ordinò personalmente l’esecuzione dei giovani.

Nel frattempo, sempre il quel maledetto 26 aprile, dalle 15:30, alla periferia di Lonigo , tra San Tomà e zone prima citate di Santa Marina e Via Cimitero avvennero altri separati scontri a fuoco, quasi simultanei.

I partigiani attaccarono infatti in più punti, in esecuzione dell’ordine di tagliare la ritirata al nemico. Presso la chiesetta di Santa Marina, poco dopo aver disarmato 6 tedeschi, vennero catturati e giustiziati - dopo violenze con bastonature, calci e pugni - i partigiani Guido Valle (di 17 anni ) e Giuseppe Fortuna (di 32 anni, sposato con Silvagni Letizia con 2 figli, nativo di Lonigo, ma sfollato da Genova) mentre Ettore Castiglion, datosi alla fuga attraverso i campi, venne falciato da raffiche di mitra. Ettore, anch’egli sposato (con Amelia Valentini) aveva allora 44 anni e in paese era conosciuto in quanto affermato meccanico.

Sempre in località San Tomà, sul ciglio della strada che ancor oggi si chiama Via Rotonda, nel pomeriggio vennero poi rinvenuti, uccisi a colpi di mitraglia sul petto, i cadaveri di Giuseppe Baglieri, (di 23 anni, nativo di a Modica di Ragusa), di Giuseppe Fattori (originario della vicina Montebello di soli 20 anni) e del leoniceno Angelo Fortuna di 26 anni. Il primo presentava anche lo sfondamento del cranio. Contestualmente all’episodio venne ucciso in combattimento anche un altro giovane partigiano sempre della zona di Lonigo: Faggian Giovanni di soli 24 anni.

Venne catturata dai tedeschi insieme a Giuseppe Fortuna e Guido Valle, anche Maria Menti che venne accompagnata con loro al bordo della strada a Santa Marina, ma poi fermata oltre un’autoblinda così da voltare le spalle ai due compagni. Dopo le raffiche di mitra con cui vennero uccisi gli amici, fu inspiegabilmente allontanata, sebbene con calci e bastonate, dal luogo.

La testimonianza di Maria Menti, raccolta da Carlo Camporiondo già nel maggio del 1945, sarà importante perchè indicava in un sergente della Div. Goering, che aveva una “pistola a mitragliatore”, l’uccisore di Fortuna e Valle, e permise di identificare in quella divisione nazista il reparto responsabile si queste uccisioni. Ma la giornata maledetta di Lonigo non era conclusa.

Ad Almisano, frazione di Lonigo dalla parte opposta di San Tomà, a tarda sera, verso le 21:15, i due fratelli Andrea e Luigi Mistrorigo, affacciatisi per aver udito rumori sospetti, vennero freddati sull’uscio della loro casa da due tedeschi, mentre altri due aspettavano fuori della proprietà. Si trattava di una spedizione punitiva probabilmente suggerita da qualche delatore fascista locale. Lonigo non era diversa dalle altre cittadine del Nord Italia. Anche Lonigo era figlia di quella generazione, allevata dal Duce con vent’anni di dittatura e violenza.

Riccardo Bettero, dipendente dei Mistrorigo, saputa la notizia, lasciò la sua casa per raccogliere notizie e venne ucciso lungo il percorso. La mattina dopo, sempre ad Almisano, vennero poi rinvenuti i corpi di due partigiani locali: Attilio Antonin (classe 1925) e Silvio Lora (classe 1926). Entrambi presentavano ferite di arma da fuoco al capo e al collo. Non è mai stato chiarito se i due rinvenuti insieme fossero caduti in combattimento, tuttavia le ferite alla testa e al collo facevano propendere per un’esecuzione. Forse sempre legata al delatore dei Mistrorigo.

I nazisti anche in questo caso furono quasi certamente individuati ancora negli uomini del Maggiore Alfred Grundmann. A guerra finita – qualche giorno dopo – si iniziarono le ricerche per punire e processare i colpevoli. Il fascicolo 1191, stilato dai carabinieri di Lonigo il 20 dicembre 1945 e firmato dal maresciallo comandante Angelo Mosca, fece ben presto capire che si sarebbe potuto – volendolo - celebrare immediatamente il processo ai colpevoli, soprattutto del primo eccidio. Volendolo.

Il 29 gennaio 1946 infatti il magg. Grundmann venne messo a disposizione delle autorità italiane da parte degli Alleati, ma nessuno ‘stranamente’ lo interrogò. La stessa testimonianza di Mons. Caldana, datata solo 15 giugno 1946, avvenne – ancora più stranamente – solo dopo che l’ufficiale tedesco era già stato liberato dagli americani.

Dopo "l’archiviazione provvisoria” da parte del giudice Santacroce, negli anni ’90 il fascicolo arrivò anch’esso sul tavolo del procuratore militare di Padova, Sergio Dini, che si vide costretto a chiederne l’archiviazione al GIP “al di là di ogni considerazione sulla prescrizione dei reati”.

Il 26 febbraio 1997 il GIP Massimo Bocchini decretò così il “non doversi procedere azione penale per … infondatezza del reato… La fucilazione di cinque uomini catturati in armi e in atteggiamento ostile alle forze germaniche non appare essere atto contrario ai principi di diritto bellico e quindi illecito”.

E così si concluse un’altra vicenda ignobile, dove non si volle arrivare alla verità e ad un processo equo e corretto. A Lonigo a ricordo di quell’eccidio restano solo una lapide in pietra posta nel passaggio ad archi sotto Palazzo Pisani, nel centro storico di Lonigo, assieme ai nomi dei 22 partigiani e i civili caduti nella liberazione di Lonigo il 26 e 27 aprile 1945; una stele in pietra grigia ai bordi di Via Rotonda, una strada a traffico intenso, che ricorda i partigiani Giuseppe Baglieri, Giuseppe Fattori e Angelo Fortuna nel luogo dove presumibilmente caddero e ultimo un monumento in marmo bianco in spazio di rispetto collocato tra cipressi non lontano dalla chiesa sconsacrata di Santa Marina dove alcuni caddero (in fondo ad una laterale chiusa di Via Turati) che ricorda quei partigiani leoniceni vittime della barbarie nazifascista: Ettore Castiglion, Giuseppe e Angelo Fortuna, Giuseppe Baglieri, Giuseppe Fattori e Guido Valle.

Ad oggi, malgrado gli studi passati di storici locali, come Carlo Camporiondo e il prof. Egidio Mazzadi (il mio preside quand'ero ragazzo e marito di Lucia la mia maestra alle Elementari, a cui debbo molto), non è chiaro se i tre morti di San Tomà siano caduti in combattimento, ma non sembrerebbe da come sono stati rinvenuti i cadaveri (allineati e mitragliati al bordo della strada).

Ma nulla cambia sul valore del loro sacrificio.

Bertolt Brecht scriveva che è ‘sventurata la terra che ha bisogno di eroi’ e purtroppo non si sbagliava. Ma grazie a quelli eroi – come questi della mia natìa Lonigo – oggi la mia terrà è libera. La sventura sarebbe tornare indietro, come talvolta sembra ultimamente che qualcuno voglia.

Del resto – come scriveva un altro grande intellettuale (Herbert Matthews, storico e giornalista del New York Times) - “Non avete ucciso realmente il fascismo, è una malattia di cui soffrirete per decenni e riapparirà in forme che non riconoscerete”.

Per questo io oggi – 80 anni dopo quel giovedì di sangue - ringrazio gli eroi della mia Lonigo.

26 aprile 2025 - 80 anni dopo - liberamente tratto dal mio 'L'ultimo viaggio da Vò Vecchio ad Auschwitz' - Ed. AliRibelli- 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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