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25 aprile 2025
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Quando Hitler pensò di aver distrutto l'Armata Rossa
di Roberto Preve

Hitler aveva passato la calda e afosa estate del 1941a litigare con i suoi generali. L'alternativa era stata tra avanzare verso Mosca, ignorando Kiev, o colpire prima Kiev, fermandosi di fronte a Mosca. Di condurre le due operazioni in modo simultaneo non era neppure il caso di parlare, per insufficienza logistica e di armamento.

Era un'alternativa senza chiari riferimenti e in realtà metteva in luce l'impossibilità di condurre a fondo le due operazioni in sequenza. In tale senso l'operazione Barbarossa, intesa a mettere fuori combattimento l'esercito sovietico prima dell'inverno, era già fallita.

Hitler decise secondo il suo giudizio, che alla luce di un'analisi approfondita appariva il più logico, e prescrisse di attaccare Kiev e Leningrado sulle ali mentre le truppe di Von Bock al centro si sarebbero dovute mettere sulla difensiva.

Distrutte le truppe sovietiche sull'ala sinistra, l'operazione Tifone cominciò nell'ottobre del 1941 verso Mosca. La manovra si concluse con una vittoria spettacolare per i tedeschi e in mano nazista caddero 663 000 prigionieri e furono distrutti 1242 carri armati sovietici e 5412 cannoni.

A questo punto, e fu una rara occasione, Hitler perse la testa. Già il 3 ottobre si era compromesso, affermando che l'Unione Sovietica era "spezzata e non si sarebbe mai più risollevata". Lo fece in un discorso pubblico per l'apertura della campagna per il soccorso invernale.

Il 9 Ottobre il suo portavoce, il Dottor Dietrich, affermò che la guerra era finita e l' Unione sovietica era sconfitta. Il giorno dopo il Volkischer Beobachter, il giornale del partito nazista, riferiva "le armate di Stalin sono state spazzare via dalla faccia della terra". I giornali di tutta l'Europa occupata fecero coro e celebrarono la vittoria raggiunta, mentre il popolo tedesco festeggiava nei locali riaperti.

In due mesi Hitler sarebbe passato dalla certezza di una vittoria annunciata a una sconfitta certa e non lo sapeva ancora.

A Mosca regnava il panico, il bollettino del 15 ottobre parlava di situazione "grave e peggiorata". Dal 16 al 19 ottobre, la notizia della sconfitta mise in moto una fuga di massa dei funzionari del partito dalla capitale Sovietica. Nella città, rimasta senza protezione, banditi presero il controllo di case e di proprietà incustodite.

Il 19 ottobre Mosca fu messa in stato di assedio, condizione singolare perché in Unione Sovietica si viveva così dal Giugno. Fu però anche comunicato che Stalin era e sarebbe rimasto in città. Improvvisamente l'ordine fu ristabilito e la figura mitica del leader sovietico fu un viatico per i soldati sovietici.

Perché, all'insaputa del dittatore tedesco che si vantava di aver previsto "ogni cosa", un gigantesco esercito di riserva sovietico di un milione e mezzo di soldati pesantemente meccanizzati si stava avvicinando dall'Oriente, dato che nel frattempo i servizi segreti sovietici avevano segnalato che l'esercito giapponese si stava dirigendo verso sud e verso Singapore e le Filippine e non a nord verso l'Urss.

I soldati sovietici erano freschi ed equipaggiati per il freddo estremo che sarebbe sceso a 25/35 gradi sottozero. I tedeschi portavano la divise estive perché i loro comandanti erano ancora legati alla previsione di finire prima dell'autunno... (Continua)


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