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A Gaza il velo è stato squarciato
di
Alessandro Ferretti
Il dottor Ezzidin ogni giorno si reca all’Indonesian Hospital o alla sua piccola clinica gratuita nel nord di Gaza e si dedica a un compito immane: alleviare le sofferenze di pazienti malati, feriti, traumatizzati e denutriti, nonostante la scarsità ormai estrema di medicine, strutture, strumenti medici.
La sera, quando ne ha le forze, scrive per far sapere a un mondo per lo più distratto cosa significa vivere durante un genocidio.
L’altro ieri ha raccontato di un suo amico e collega, il dottor Mahmoud Abu Amsha: era stato al fianco del dottor Hussam Abu Safiya durante tutto l’assedio dell’ospedale Kamal Adwan. In quei giorni Ezzidin aveva chiesto al suo amico come mai non fosse fuggito; Mahmoud gli aveva risposto che non lo sapeva neanche lui. “Sentivo solo che dovevo restare, per quelli intrappolati al nord. Non c’erano chirurghi rimasti a curarli”, aggiungendo poi :”Abbiamo studiato medicina per salvare vite, non per fuggire”.
Mahmoud era stato poi catturato dai soldati israeliani insieme al dottor Abu Safiya e ripetutamente picchiato. Liberato, era tornato a lavorare all’Indonesian Hospital. Lunedì era atteso al lavoro ma vi arriverà cadavere, ammazzato da un attacco aereo israeliano.
L'altro ieri Ezzidin ha raccontato di una madre venuta nella clinica con il figlio, di soli diciassette mesi. Qualche settimana prima aveva iniziato a camminare, incerto ma promettente. Poi, due settimane fa, aveva cominciato a inciampare. Negli ultimi giorni non riusciva più ad alzarsi in piedi: il bimbo indicava le sue gambe a Ezzidin non con dolore, ma con sconcerto: come fossero diventate un corpo estraneo.
La diagnosi, racconta Ezzidin, è semplice: fame. Da un mese la sua famiglia mangiava solo riso, un piccolo pasto al giorno: ora, neanche più quello. Da 35 giorni, neanche un chicco di riso è entrato a Gaza: Israele ha completamente bloccato ogni consegna di qualsiasi cosa, nel tentativo di portare i palestinesi ad una disperazione tale da uccidersi tra loro.
Ieri sera Ezzidin ha scritto di nuovo, toccando ancora una volta il cuore di chiunque ne possieda uno. Leggetelo e fatelo leggere, affinché nessuno possa mai dire "non sapevo".
”Sapete cosa mi turba di più in questa guerra?
Non sono solo le bombe. Non è solo la fame. Non è solo l'assedio freddo e calcolato di due milioni di anime.
È il silenzio.
Il silenzio soffocante e complice di un mondo che una volta aveva definito il ventesimo secolo come "secolo della libertà". Un grandioso dramma televisivo di liberazione. Dove le bandiere della giustizia venivano sventolate nei parlamenti. Dove i diritti umani non erano più ideali, ma leggi sacre. Dove ai marginalizzati era promessa visibilità, dignità, voce.
Ci era stato detto che avevamo voltato pagina. Che il razzismo era un relitto del passato. Che c'erano tribunali per i crimini di guerra. Che ogni vita umana contava.
Ma oggi, a Gaza, gli esseri umani vengono fatti morire di fame con precisione burocratica. Vengono bombardati con ingegnosità tutta occidentale. I bambini vengono schiacciati sotto il cemento non per sbaglio, ma secondo un piano. E il mondo osserva, non con shock, ma come in una routine. Conferenze stampa. Negoziati per il cessate il fuoco. Articoli di riflessione. Silenzio.
Dove sono ora gli architetti della morale? Gli statisti con i loro Premi Nobel e le loro memorie scritte da ghostwriter? Gli inviati dell'ONU e i campioni dei diritti umani che hanno pianto in Bosnia, marciato nel Darfur e issato bandiere arcobaleno a Berlino?
Dove sono ora, quando il cielo stesso è un'arma, quando la fame diventa strategia, quando la sopravvivenza è una forma di resistenza?
Mi ritrovo a graffiare le pareti della razionalità. Sento, so, che sto perdendo la ragione.
Come fanno i leader a radersi la mattina senza tagliarsi la gola per la vergogna? Come fanno a tenere strette a sé le loro figlie, sapendo di aver approvato lo sterminio delle nostre? Quando baciano i loro figli la buonanotte, non sentono le urla dei bambini sepolti sotto le macerie?
Che specie siamo?
Che tipo di pianeta senza dio abbiamo costruito, dove i criminali di guerra indossano abiti eleganti e la verità viene annegata in un lessico gentile?
Perché il pianeta non si è fermato?
Siamo tutti partecipanti di un mito così elaborato, così raffinato, così televisivo, da aver dimenticato che è una menzogna?
Ogni volta che cerco di parlare, di urlare, di ragionare, mi sembra di lacerare il tessuto stesso della sanità mentale.
E forse è proprio questo il punto. Forse il mondo è sempre stato pazzo. Forse Gaza è semplicemente il luogo dove, alfine, il velo è stato squarciato.”
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