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16 marzo 2025
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Storia di un regista e del suo film mai nato
di Rinaldo Battaglia *

E' stato accertato che, almeno dal 16 marzo 1952, i nostri potenti servizi segreti (Sifar, Affari Riservati ossia la struttura occulta della polizia politica) avessero a suo tempo iniziato a ‘seguire’ un intellettuale italiano. Di nome, questi, faceva Renzo Renzi.

Sono passati 73 anni da allora eppure oggi, soprattutto oggi in Italia - con la propaganda sempre più vincente sull'informazione libera - sarebbe opportuno parlarne. E, di certo, ci servirebbe molto per aprire gli occhi e le menti. Sui temi della guerra, dell'ipocrisia prima e dopo una guerra, sui silenzi delle colpe del nostro fascismo. Temi sempre attuali e dove la discussione risulta sempre più volutamente sfavorita, se non negata.

La data del 16 marzo, pertanto, mi dà l'opportunità di raccontarVi qualcosa. Lasciando poi ad ognuno la propria analisi e il proprio mal di stomaco.

Ricordo che anni fa Loredana Bertè cantava che ‘il tempo è un gran dottore’ e talvolta – mi vien da aggiungere - anche un po’ farabutto, perché spesso sembra voglia prenderti per il sedere. Tutto parte - se volete - da una data storica, cerchiata in nero sul calendario della Storia italiana: il 12 settembre.

In quel giorno del 1943, un certo Benito Mussolini veniva liberato dalla prigione sul Gran Sasso d'Italia e la guerra, da lui voluta e cercata, riprese con più vigore e atrocità. Dieci anni dopo, il 12 settembre 1953, un altro uomo fece il viaggio opposto e venne imprigionato nel carcere militare di Peschiera, colpevole di aver vissuto da ufficiale quella guerra e al suo ritorno di aver voluto riportarla su un film – perché quello era il suo mestiere – per lasciare una traccia ai posteri.

Il mondo in quei dieci anni era totalmente cambiato: Hitler, Mussolini, Stalin, Roosevelt erano usciti di scena (c’era al potere solo Churchill negli ultimi suoi pallidi anni di governo). Il Paese che forse nella sostanza era meno cambiato era proprio l’Italia. Nella sostanza, perché sulla forma – sulla copertina - siamo tutti d’accordo che vi erano state modifiche. Nel 1953 eravamo in piena Guerra Fredda e molti uomini di potere al tempo del Duce restavano più o meno al loro posto e gran parte di chi allora deteneva il potere era nato e cresciuto nella scuola fascista.

La vaticana Rat-line del vescovo di Pio XII, Alois Hudal, lavorava ancora a pieno regime coi suoi viaggi miracolosi in Sud America; nelle elezioni politiche del 7 e 8 giugno il MSI (nato il 26 dicembre 1946 da una costola della RSI) aveva raggiunto il 5,85% dei voti conquistando ben 29 seggi in Parlamento; il 19 dicembre 1953 (con il D.P.R. n. 922) arriverà la seconda amnistia, a firma del ministro Azara e a beneficiarne saranno 7.833 persone, per il 99.99% legate al regime fascista.

Poteva sorprendere quindi l’arresto di un intellettuale che raccontava il suo vissuto nella guerra di Grecia, dove ci eravamo comportati come i nazisti, bruciando villaggi, fucilando donne e bambini come succederà dopo da noi a Marzabotto, Sant’Anna o Fivizzano, distruggendo campagne, provocando carestie e migliaia di morti di fame?

Anna Frank un giorno scrisse che ‘la verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta’.

Nel 1953 in Italia la verità non poteva esser sentita con la scusa – vera o falsa, non importava - di favorire l’URSS, i comunisti del Patto di Varsavia, i figli di Stalin, che dal canto loro nell’Est Europa non è che restassero inermi o permissivi (i carri armati a Budapest arriveranno neanche 3 anni dopo).

E così una mattina di metà settembre 1953, un grande intellettuale, scrittore e saggista, autorevole storico, uomo di cinema e critico cinematografico di punta del quindicinale ‘Cinema Nuovo’ – allora uno dei più in voga e seguiti – venne arrestato, come fosse un ladro o un assassino, dopo che da almeno un anno e mezzo (metà marzo 1952) i servizi segreti (Sifar), avevano iniziato a ‘seguirlo’. Ma chi era quell’uomo? Chi era Renzo Renzi.

Da giovane (classe 1919), come ufficiale, aveva fatto la campagna di Grecia e dopo l'8 settembre 1943 venne catturato dai tedeschi e, come 700.00 IMI, deportato nei lager fino alla liberazione. Prima della guerra si era già inserito nel giornalismo, scrivendo articoli di cinema presso alcune testate locali, tra le quali ‘Architrave’, un mensile di politica, letteratura ed arte, fino al 1943 gestito dai GUF, i Gruppi Universitari Fascisti.

Quel che aveva visto e vissuto in terra di Grecia gli aveva però fatto aprire gli occhi sul fascismo e sul regime di Mussolini. Appena tornato in libertà a guerra finita, riprese l’attività con più vigore e specializzandosi sempre più sulla critica cinematografica. In breve, entrò in contatto con molti intellettuali e uomini di cultura, tra cui Guido Aristarco (con cui fonderà nel 1952 la rivista ‘Cinema Nuovo’), il grande Enzo Biagi, Luigi Pizzi e Renato Zambonelli (nel 1950), con cui collaborò attivamente.

Da queste collaborazioni dette il via ad una propria casa di produzione (la ‘Columbus Film’) per la quale diresse e sceneggiò, tra il 1954 e il 1955, quattro cortometraggi documentari che si avvalsero anche della colonna sonora di Enzo Masetti, probabilmente a quel tempo il ‘numero uno’ nel campo. Nel 1952 ci fu poi la sua firma nel soggetto e sceneggiatura del film ‘Camicie rosse’, diretto da Goffredo Alessandrini con Anna Magnani e Raf Vallone, sull’impresa di Garibaldi.

Eravamo in altre parole ai vertici nel campo della sceneggiatura o della regia cinematografica e Renzo Renzi per le sue competenze cercato e stimato dai migliori.

Ma le cose gli cambiarono completamente il 1° febbraio 1953. Nel n. 4 della sua rivista ‘Cinema Nuovo’ aveva anticipato che stava iniziando a lavorare su un suo sogno che aveva già in mente da 11/12 anni: trasferire sullo schermo quel che aveva visto e vissuto nella campagna di Grecia, dall’invasione del 28 ottobre 1940 all’armistizio di 3 anni dopo e l’arresto dei nostri soldati da parte dei nazisti.

Tra l’altro in forma un po’ ironica, ma partendo unicamente dalla vera verità vissuta. E aveva scritto il titolo già scelto per il film: ‘L'armata s'agapò’ (ti amo in greco) e la sceneggiatura. Tutto: le scene principali, i crimini delle camicie nere, le atrocità comandate dai generali del Duce. Peraltro, già condiviso con il direttore della rivista, suo collega e regista già scelto per quel film: Guido Aristarco (Renzo Renzi si sarebbe concentrato più sulla sceneggiatura).

Guido Aristarco - tanto per capirci - collaborò per molti anni con Luchino Visconti, vinse nel 1969 il primo concorso a cattedra in ‘Storia e Critica del Cinema’, dove insegnò dal 1987 all'Accademia dei Lincei. Fu titolare della Cattedra di 'Storia e Critica del Cinema' presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università 'La Sapienza' a Roma. Cattedre e funzioni che abbandonerà per raggiunti limiti di età, solo nel 1989, a 71 anni. Lavorò inoltre con grandissimi nomi del cinema quali Cesare Zavattini, i Fratelli Taviani, Dario Fo, Suso Cecchi D'Amico (figlia di Emilio Cecchi) e fu un vero riferimento per la sceneggiatura del cinema italiano del dopoguerra.

L’articolo di febbraio di ‘Cinema Nuovo’ era la punta dell’iceberg nel controllo della cultura – soprattutto cinematografica – nel 1953. Non si potevano toccare certi argomenti, anche se ti chiamavi Renzo Renzi e Guido Aristarco, anche se eri nel gotha del cinema nazionale. Anzi, serviva punire qualcuno in alto affinché in basso tutti capissero la lezione. La solita regola del ‘bastoniamo uno per insegnare a centomila’. Come ai tempi del Duce, di Stalin, Mao o chi si vuole, a seconda delle bandiere politiche preferite. Si era in Guerra Fredda, si era nel post-fascismo ma coi piedi ancora bene impiantati nelle fogne del fascismo precedente. Che altro?

Per alcuni mesi il caso ‘Renzi/Aristarco’ venne lasciato lì in disparte a dormire e il film in gestazione ‘L'armata s'agapò’ lasciato crescere, come un bambino nel ventre della mamma. Ma al settimo mese, quando il film stava per esser pronto per la nascita – passando dalla sceneggiatura di Renzi alle prime riprese di Aristarco – la polizia in quel 12 settembre 1953 intervenne brutalmente ed arrestò sia lo sceneggiatore che il regista. Meglio entrambi per non rischiare che quel figlio, ‘L'armata s'agapò’, venisse alla luce ugualmente.

Il film non doveva assolutamente nascere, il film non ‘s’aveva da fare’, come il matrimonio tra Renzo e Lucia di manzoniana memoria. Perché – questa l’accusa nell’atto d’arresto dei due – quel film era ‘vilipendio delle Forze Armate’, perché ledeva gli interessi dei Don Rodrigo di turno. Strano: in Italia eravamo tornati indietro di 10/20 anni ai tempi del Duce o forse ancora più in là, anche di tre secoli, ai tempi di don Abbondio e dell’Innominato. Renzo Renzi e Guido Aristarco vennero così portati nelle carceri militari di Peschiera (militari perché sia Renzi ex-ufficiale e Aristarco ex-sottufficiale non erano mai stati congedati, chissà poi come mai?) e lasciati lì a marcire per ben 45 giorni. E - si sa - il diritto militare viaggia su binari diversi dal diritto civile.

In quei 45 giorni l’opinione pubblica non fu molto informata e quindi interessata. Intervennero però sia il mondo della stampa che l’ambiente culturale italiano, con forza e veemenza. Ma come – ci si chiedeva - siamo tornati ai tempi dell’OVRA e del Duce, quello ucciso otto anni fa mentre scappava come un ladro verso la Svizzera dentro una giubba nazista? Evidentemente sì. O, meglio, non ne eravamo mai usciti.

Dopo 45 giorni di galera a Peschiera, Renzo Renzi e Guido Aristarco vennero liberati ma posti sotto processo e alla fine condannati secondo il codice militare, sebbene la guerra fosse finita dal ‘45. Anzi: sarà in virtù delle enormi proteste su quel caso che, dal 1956, la normativa in merito sarà totalmente modificata. Renzi a 8 mesi di carcere ed Aristarco a poco meno di 5 mesi.

Renzi e Aristarco ritorneranno liberi, ma quel film non verrà mai alla luce. E così i crimini delle nostre truppe, camicie nere e no, a Domenikon, Tsaritsani, Domokos, Farsala, Oxinià cancellati al pubblico. E così “l’immagine reale di un esercito che si dedicava in larga parte al gallismo, alle requisizioni di scorte alimentari primarie nelle case dei civili e alle fucilazioni indiscriminate di ostaggi” - sono parole che rubo volentieri alla giornalista storica Serena d’Arbela – nascoste sotto la cenere. E così il messaggio da anni venduto all’opinione pubblica, che passivamente accettava, degli ‘italiani brava gente!’ poteva proseguire spedito e tranquillo.

Non era possibile nel 1953 – 72 anni fa - parlare di fascismo e delle sue guerre d’invasione volute da Duce. Non era possibile iniziare, neanche dopo otto anni, un esame di coscienza o una condanna della guerra patriottica contro un altro popolo che non ci aveva fatto nulla di male e di certo era stato lui aggredito, non viceversa. Non si poteva. Vilipendio al paese, offesa all’Italia.

Scriveva ancora in una sua analisi Serena d’Arbela, che non fu permesso a Renzo Renzi “dare voce alle vittime di allora” e tanto meno mostrare al pubblico fotogrammi e sequenze che partendo dai monti dell’Albania, passando tramite i fallimenti e i discorsi del Duce ‘infatuato del proprio mito imperiale, che dirigeva di persona le operazioni’ o il ‘sopravvento dell’ingente appoggio tedesco alle spalle degli avversari, che consentì agli italiani di recitare la parte dei vincitori, come mosche cocchiere’, arrivavano alla sconfitta finale italiana. Nel 1953 – in altre parole - si è voluto imbavagliare una verità negandoci ‘immagini che passando dalla tragedia all’operetta, senza tralasciare la farsa, presentavano il vero volto della nostra guerra di aggressione’.

Hanno negato a Renzi, che aveva vissuto quella tragedia sulla pelle, la possibilità storica di raccontarcela subito, pochi anni dopo. Quando molti reduci che avevano sentito, dal balcone di Piazza Venezia il 18 novembre 1940, le parole del Duce “Spezzeremo le reni alla Grecia” erano ancora vivi e poteva testimoniare, parlare, fare opinione.

Quando molti di quei soldati ‘catapultati in una guerra dalle ignote motivazioni’ potevano gridare ai quattro venti le nefandezze ordinate dai loro generali - allevati dal Duce e alla guerra, per il Duce e per la guerra - colpevoli di efferati eccidi su civili, donne vecchi e bambini.

Quando molti reduci – come Renzi medesimo - avevano ancora in memoria il suono delle lezioni impartite al corso per ufficiali di Nauplia, presso le città murate di Argo e Tirinto: “Camminare in mezzo alla strada, non cedere mai il passo, non fraternizzare, avere sempre ragione”.

E invece la dignità era altrove, magari tra le ragazze greche costrette a prostituirsi per una pagnotta (questa era la tariffa). E gli italiani erano loro grandi clienti, tant’è vero che dai nemici inglesi venivamo, non a caso, definiti come “l’armata s’agapò” e presi per il sedere.

“La verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta’ scriveva Anna Frank. Se nel marzo 1952 non avessero iniziato a controllare Renzo Renzi, se nel settembre 1953 qualcuno non avesse abortito quel film - di certo - anche altre verità storiche, come lo sterminio degli italiani a Cefalonia o gli eroismi a Leros, Kos, Rodi, Argirocastro, degli uomini degli ammiragli Campioni e Mascherpa o del gen. Chiminiello e Gandin o del col. Lanza, non sarebbe stati nascosti per decenni e forse ora qualcuno ne saprebbe qualcosa in più. E sarebbe, di sicuro, cosa buona e giusta.

E magari anche il crimine delle foibe slave meglio conosciuto e approfondito. “La nostra generazione deve parlare di queste cose” affermava Renzi dopo la sua condanna. Quel film, tuttavia, non venne più realizzato e, parafrasando Oriana Fallaci, si potrebbe dire che fu la storia di un film mai nato.

Ma Renzo Renzi non si fermò. Già dal 1956 realizzò per l'editore Cappelli di Bologna una collana di monografie ‘Dal soggetto al film’, che raccoglieva i documenti preparatori dal soggetto alla sceneggiatura che risultò di grande successo nel mondo (ben 77 volumi). Continuò contemporaneamente la sua attività di critico e saggista (su Federico Fellini, Carl Theodor Dreyer e Luchino Visconti), dal 1962 lavorò alla Commissione Cinema del Comune di Bologna e nel 1967 fu tra i fondatori della Cineteca di Bologna. Nel giugno del 2003, l’anno precedente alla sua morte, gli venne conferito il premio alla carriera al DAMS di Bologna.

Ma anche quel film così abortito lasciò alcuni semi. Nel 1985 venne ripreso il tema e Pino Passalacqua, prendendo spunto dalle idee di Renzo Renzi, diresse il film ‘L’Armata Sagapò’ che anche nel titolo ripercorreva la storia della nostra campagna di Grecia. Ma eravamo 32 anni dopo, qualcosa già si cominciava a sapere, sebbene sempre tra enormi difficoltà e forti reticenze. Infatti, pochi ancora oggi vergognosamente conoscono in Italia quelle verità storiche, documentate, oggettive, accertate.

Del resto, lo diceva a suo tempo Anna Frank che “la verità è tanto più difficile da sentire quanto più a lungo la si è taciuta’. 73 anni fa, in Italia, alcuni politici dall'alto ordinarono ai Servizi Segreti di 'seguire' un intellettuale che non voleva tacere. E vista l'attuale nostra ignoranza storica a riguardo, mi vien da dire che ancora una volta hanno vinto loro.

16 marzo 2025 - 73 anni dopo - Liberamente tratto dal mio ‘Il tempo che torna indietro – Seconda Parte” - Amazon – 2024

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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