Ricordando Aaron
di Rossella Ahmad

L'anno scorso, più o meno di questi tempi, si concludeva una giornata bellissima nel peggiore dei modi.

La soddisfazione per la perfetta riuscita del grande evento di Life for Gaza, il concerto ideato per raccogliere fondi a favore degli assediati nel ghetto di Gaza, che aveva aperto interi scrigni di gioia, speranza e commozione condivisa - un rito di partecipazione emotiva incredibilmente intenso - sfumava nella disperazione per una morte eroica ma profondamente ingiusta. La Palestina in breve, che è sempre un connubio di emozioni tristi e felici, di eroismo ed ingiustizia ai massimi livelli.

Aaron Bushnell entrò quel giorno nel grande pantheon di santi laici, di giovani virgulti, di vere e proprie icone che contraddistinguono ed illuminano la storia palestinese. Dedicai a lui l'ultimo post della giornata, prevedendo, forse ingenuamente, che quelle fiamme di protesta appiccate al suo corpo in una luminosa giornata d'inverno avrebbero sprigionato il grande incendio.

Restiamo in attesa, tuttavia. Per adesso, non siamo ancora riusciti a raccogliere con mano salda il testimone che Aaron e gli altri ci hanno lanciato in tempi diversi, in circostanze diverse. Si tratta di una strada che ancora facciamo fatica ad imboccare, ci perdiamo in parole inutili, discussioni inutili e gesti inutili, mentre sempre più impellente si palesa la necessità di recidere la spada sospesa anche sul nostro capo, per parafrasare Agamben.

Vero: abbiamo avuto la rivolta degli studenti nelle università statunitensi ed europee, le grandi manifestazioni, la presa di coscienza collettiva soprattutto delle generazioni più giovani, che attraverso la Palestina hanno riscoperto una partecipazione politica completamente assopita in lustri di edonismo ed individualismo opportunisticamente inculcati. E questo perché la questione palestinese chiarisce senza alcun dubbio la differenza tra il bene e il male, come nei cartoni Disney; alza il tappeto di ipocrisia sotto cui le nostre democrazie hanno nascosto le inumanità del sistema economico e geopolitico in cui siamo ingabbiati; con i social, la censura dei governi è inutile, come scrisse al tempo G. Lusini.

Contate tutte le kufiye, giovani e meno giovani, fermate dalla polizei germanica e globale in quest'ultimo anno, compreso quella di Greta, e capirete.

Ignazio Silone, un grande del Novecento, disse che anche in dittatura si può essere liberi, a patto che si lotti contro di essa. Non molti ne sono consapevoli ma la dittatura del nulla, quella priva di ideologie ma che le contiene tutte, incombe. Mai così pregnante. Si nutre dei cadaveri di Gaza, delle standing ovation agli assassini ed ai loro gregari su ogni palcoscenico di questo mondo sghembo, dei politici sgamati con le mani nel sacco in ogni consesso, pubblico e privato, delle volgarità esibite senza ritegno sui social, negli studi televisivi, nelle sedi istituzionali, delle moltitudini di diseredati in ogni periferia d'Occidente e d'oriente che si accalcano al tavolo dei potenti non per ribaltarlo, ma per afferrare con lestezza ciò che ne cade. Prima degli altri, meglio degli altri, nonostante gli altri.

Penso a ciò e provo grande timore e vergogna per i sacrifici umani forse inutili. Certamente considerati tali dalla zavorra di questo pianeta, per i quali è segno di indubitabile follia darsi fuoco per un principio, rinunciando ad una vita di spritz, recinti e guinzagli.

Ma Aaron e gli altri sono i figli del sole, che nel proprio spirito si ricreano e la loro forza è la loro gioia, come scrisse Hölderlin. E nel ricordo di tutti e di ciascuno, la mia speranza si nutre e cresce.

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