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Medio Oriente fra disimpegno USA, crisi NATO e nuovo ordine globale
di
Leandro Leggeri
Il recente vertice Russia-USA a Riad ha segnato un cambiamento epocale nella politica estera statunitense sotto la nuova amministrazione Trump. Escludendo sia l'Ucraina che l'Europa, Washington ha sancito una ridefinizione delle priorità geopolitiche, spostando il baricentro verso il Medio Oriente e un possibile riavvicinamento con Mosca. In questo scenario, Volodymyr Zelensky appare sempre più isolato.
Dopo anni di supporto quasi incondizionato, Trump ha chiarito che gli Stati Uniti non considerano più Kiev un partner strategico fondamentale, sottolineando che la guerra sarebbe dovuta finire prima. Le sue dichiarazioni, in cui ha definito Zelensky un "comico mediocre" e un "dittatore" per aver rinviato le elezioni, hanno amplificato il senso di isolamento del leader ucraino.
Ora Kiev si trova di fronte a un bivio: accettare negoziati con Mosca alle condizioni di Putin o affrontare un conflitto senza il pieno sostegno occidentale.
Nel frattempo, la Russia continua ad avanzare con una velocità impressionante, minacciando non solo il Donbass ma anche le regioni meridionali dell’Ucraina fino a Odessa.
Questa dinamica era stata prevista già nel 2019 dalla Rand Corporation, think tank molto vicino al Pentagono, che scriveva: «Fornire aiuti letali all'Ucraina sfrutterebbe il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia (il riferimento è all'esportazione di idrocarburi verso l'Europa), ma qualsiasi aumento delle armi e della fornitura militare fornita dagli USA all'Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, otterrebbe vantaggi significativi.»
Ora che gli Stati Uniti hanno ridotto il loro coinvolgimento, la NATO sta affrontando la più grande battuta d'arresto della sua storia, mentre l'Europa appare sempre più marginalizzata e priva di una strategia indipendente.
Con il progressivo disimpegno americano dal conflitto in Ucraina e il cambio di strategia dell’amministrazione Trump, la NATO non solo ha fallito nel suo obiettivo di contenere la Russia, ma sta anche subendo un ridimensionamento del proprio ruolo globale. Il principale garante della sicurezza occidentale – gli Stati Uniti – sta ridefinendo le sue priorità strategiche lontano dall’Europa, lasciando l’alleanza senza una direzione chiara. Di conseguenza, l’Unione Europea si trova in una posizione sempre più marginale: senza il pieno supporto americano, non ha una politica di difesa autonoma in grado di sostituire il vuoto lasciato da Washington.
Questa mancanza di indipendenza strategica rende l’Europa vulnerabile e incapace di condizionare gli eventi, lasciandola spettatrice in un gioco geopolitico che ora si gioca tra Washington, Mosca e le potenze del Golfo.
L’approccio di Trump si inserisce in una visione strategica più ampia, in cui la Russia non è più vista come il nemico principale degli Stati Uniti, ma come un attore utile a contenere l’influenza di due avversari ben più pericolosi per gli interessi americani: la Cina e l’Iran. Questa svolta rappresenta una netta rottura con la politica delle amministrazioni precedenti, che avevano puntato su un progressivo accerchiamento della Russia attraverso l’espansione della NATO a est e il sostegno militare all’Ucraina.
L’idea di Trump è che la vera minaccia per la supremazia statunitense sia il consolidamento di un asse tra Pechino e Mosca, un’alleanza che potrebbe sfidare il primato economico e militare statunitense.
Tuttavia, nel lungo periodo, gli interessi russi e cinesi non sono perfettamente allineati: la Russia vede con sospetto l’espansione economica cinese in Asia Centrale e teme di diventare un partner subordinato di Pechino, soprattutto dopo le sanzioni occidentali che hanno reso Mosca sempre più dipendente dal mercato cinese. Trump cerca quindi di separare la Russia dalla Cina, proponendole un ruolo più autonomo sullo scacchiere globale in cambio di un ridimensionamento delle tensioni con l’Occidente.
Parallelamente, la strategia di Trump mira a rafforzare l’asse Washington-Riad-Tel Aviv per contrastare la crescente influenza iraniana in Medio Oriente. L’Arabia Saudita e Israele vedono Teheran come il loro principale nemico regionale e considerano l’espansione dell’influenza iraniana – attraverso la sua rete di alleanze e gruppi armati – una minaccia esistenziale. Gli Stati Uniti, riducendo il loro impegno in Ucraina e riallineandosi con Mosca, sperano di convincere la Russia a mantenere una posizione neutrale o persino favorevole in un eventuale confronto con l’Iran.
Mosca, pur avendo buoni rapporti con Teheran, non ha interesse a veder crescere eccessivamente il potere dell’Iran nella regione, poiché una Teheran troppo forte potrebbe sfidare le ambizioni russe in Medio Oriente e alterare l’equilibrio del mercato energetico globale. La Russia ha sempre cercato di mantenere un equilibrio tra le potenze regionali per consolidare il proprio ruolo di mediatore. Se l’Iran acquisisse un’influenza predominante, Mosca rischierebbe di perdere la sua capacità di negoziare tra attori come Israele, Arabia Saudita e le monarchie del Golfo.
Dal punto di vista energetico, l’Iran rappresenta una minaccia diretta alla posizione dominante della Russia nel mercato del gas. Teheran possiede le seconde maggiori riserve di gas naturale al mondo dopo la Russia e potrebbe diventare un fornitore alternativo per l’Europa e la Cina, riducendo la dipendenza di questi mercati dal gas russo. Finché l’Iran è soggetto a sanzioni, Mosca ha un vantaggio competitivo, ma se queste venissero revocate, Teheran potrebbe offrire prezzi più bassi, minando il monopolio russo.
Per questi motivi, la Russia preferisce un Iran abbastanza forte da contrastare l’influenza occidentale e saudita, ma non così forte da diventare un rivale regionale. Inoltre, Mosca e Tel Aviv mantengono un canale di comunicazione aperto, con la Russia che ha spesso tollerato le azioni israeliane contro obiettivi iraniani.
Trump sembra quindi voler giocare su questi equilibri, offrendo a Mosca un ruolo di mediatore e riducendo la pressione su di essa in cambio di una minore cooperazione con Pechino e Teheran. Il recente invio di bombe MK-84 a Israele e il rinnovato supporto militare all’Arabia Saudita vanno proprio in questa direzione, preparando il terreno per un possibile confronto con l’Iran, che resta l’obiettivo strategico principale di Washington in Medio Oriente.
In questo contesto, l’Unione Europea si trova di fronte a una scelta difficile. Il disimpegno americano ha reso evidente la marginalizzazione di Bruxelles, che ora deve decidere se continuare a seguire una linea politica che non tiene conto del nuovo equilibrio globale o provare a costruire una strategia autonoma, ridefinendo i rapporti con Mosca.
Il vertice di Riad non è stato solo un incontro bilaterale, ma il preludio a una nuova fase della politica globale. L’era della supremazia unipolare statunitense sta lasciando spazio a un assetto multipolare, e gli equilibri consolidati degli ultimi decenni sono ormai messi in discussione.
La vera domanda è: chi saprà adattarsi a questa nuova realtà?
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