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09 febbraio 2025
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Se la rappresaglia diventa diritto di difesa
di Sergio Scorza

Vediamo tanti squinternati sparare sciocchezze e falsità sulla “questione palestinese”. Magari soltanto per marcare un confine rispetto al dibattito in Italia. Una proliferazione tossica che non rispetta niente, motivata solo dall’ansia di presentarsi al potere come “affidabili”.

Della serie “tranquilli, diciamo di essere antagonisti, ma non è mica vero. Siamo ‘occidentali’ come voi, non vi romperemo gli zebedei“. Una esposizione delirante, che ha bisogno di trovare “nemici interni”, “a sinistra” di solito, per accreditarsi nel potere imperialista.

Non ci interessa minimamente entrare in alcuna polemica. Ci sembra sufficiente ripetere quel che scrivevamo – o riproponevamo – molto prima che la situazione in Palestina esplodesse. Con l’aiuto di Galeano…

Buona rilettura…

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Hamas è al governo di Gaza, ma i palestinesi non sono il governo di Gaza. Hamas è – lo vogliamo o meno – parte della resistenza palestinese anche se, per alcuni (spero tanti) di noi, è la parte certamente più regressiva.

Ma, va detto, Hamas non è causa ma effetto della lunghissima e feroce occupazione israeliana e, purtroppo, anche della degenerazione burocratica ed autoreferenziale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Gaza.

E comunque, le colpe di Hamas non sono le colpe di tutti i palestinesi, come le colpe di Benyamin Netanyahu e del Likud non sono, certo, di tutti gli israeliani. Bombardare gli inermi civili per colpire Hamas è soltanto un’azione di vile e criminale rappresaglia, ovvero, la medesima cosa che fecero i nazisti dopo l’attentato di via Rasella messo in atto, il 23 marzo 1944, dai G.A.P. contro le forze di occupazione tedesche in cui rimasero uccisi 33 soldati del reggimento “Bozen” appartenente alla Ordnungspolizei, la polizia tedesca.

Di quell’azione si assunse la piena responsabilità il comunista Giorgio Amendola e venne compiuta da una dozzina di gappisti, tra i quali Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna e Carla Capponi.

La risposta dei nazisti occupanti fu l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ovvero, la strage di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944, per l’appunto, come durissima rappresaglia per l’attentato partigiano di via Rasella: 10 italiani per ogni soldato tedesco ucciso.

La narrazione dominante che impera su tutti i grandi mezzi di comunicazione chiama “diritto alla difesa” tutte le rappresaglie sioniste sulla popolazione civile di Gaza e le argomentazioni a sostegno di questa tesi, a ben vedere, sono del tutto analoghe a quelle rese note da Erich Priebke in un video diffuso subito dopo la sua morte, nel 2013, in cui il gerarca nazista attribuiva la totale responsabilità “morale” dell’eccidio delle Fosse Ardeatine… ai partigiani.

Compiere la strage fu una esperienza “terribile”, disse, ma “a cui non ci si poteva sottrarre” .

Secondo la sua “ricostruzione” i partigiani compirono l’attentato di via Rasella cercando la rappresaglia, per spingere i nazisti a compiere una strage che portasse la popolazione a ribellarsi.

L’attentato di via Rasella, disse, “fu fatto sapendo che dopo l’attentato sarebbe arrivata la rappresaglia perché c’era un avviso sui muri che lo comunicava: a qualunque attentato contro la polizia tedesca, c’era scritto, sarebbe seguita appunto una operazione di rappresaglia”.

Pertanto, per Erich Priebke, i Gruppi di Azione Partigiana, lo fecero apposta perché “pensavano che una rappresaglia nostra potesse provocare una reazione della popolazione, ciò che non è avvenuto”.

Una visione delirante che rovescia le responsabilità degli oppressori sugli oppressi che lottano per la propria liberazione.

Qualcosa che ricorda molto da vicino le gelide di dichiarazioni di Adolf Eichmann in occasione del suo processo, nel 1961. Priebke, come Eichmann, fu un uomo che compì azioni orribili, ma, come scrisse Hannah Arendt, forse solo per “incoscienza”, per un distacco dalla realtà malvagia dei suoi atti.

Probabilmente anche Priebke, come Eichmann, “non capì mai cosa stava facendo” a causa della sua “inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. Una assoluta assenza di empatia che porta a distorcere, trasfigurare il senso delle proprie azioni e, di conseguenza, delle parole stesse.

Qui l’editoriale che lo scrittore uruguaiano, Eduardo Galeano, scrisse sul Manifesto del 15 gennaio 2009, dopo 19 giorni di bombardamenti dell’operazione militare israeliana contro la popolazione della Striscia di Gaza “Piombo Fuso” che si svolse tra il 27 dicembre 2008 ed il 17 gennaio 2009.

Il bilancio di quel massacro-genocidio fu di 1500 morti, molti dei quali bambini, e di circa 5000 feriti, oltre una vasta distruzione.

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