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08 febbraio 2025
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Trump toglie il velo dell'ipocrisia
di Nevio Gambula

Trump ha il pregio di togliere il velo alla liberaldemocrazia, riportandola alla sua essenza: una politica di egemonia imperiale. Non servono studi teorici o approfondimenti; è lo stesso linguaggio del grande magnate a esprimere la sua “anima” e le sue “inclinazioni”.

D’altronde, Trump può essere considerato il rappresentante più puro di quella oligarchia occidentale che non intende scendere a patti col resto del mondo pur di affermare i propri interessi. È il culmine di una visione che ha nel privilegio – di classe, prima che di nazione – il tratto distintivo del proprio essere.

Con Trump, questa “potenza sovrana” si esplicita senza mediazioni, e dunque rendendo palese la totale identificazione del linguaggio con il “padrone delle cose”; è normale che possa accadere anche tramite l’esposizione del disprezzo totale della vita altrui, ridotta a mero espediente di affari o intrighi geopolitici.

Il linguaggio utilizzato da Trump su Gaza appartiene a una visione del mondo che è imparentata con l’orrore, e proprio perché strettamente collegata a una azione politica che non pone limiti alla pulizia etnica e allo sterminio di un popolo.

Se è vero che anche l’amministrazione democratica di Biden aveva supportato i crimini israeliani, con Trump andiamo oltre. Nel primo caso, le mediazioni linguistiche continuavano a sussistere, rendendo così evidente la contraddizione tra gli enunciati (l’intero armamentario dei “valori” di democrazia e libertà) e gli atti (il sostegno finanziario e ideologico alla politica genocidaria di Israele). Nel secondo, invece, il linguaggio non copre più la vera natura degli atti, bensì li rivendica per cosa effettivamente sono: l’orrore, appunto, della pulizia etnica e dello sterminio.

Dunque, la “vocazione” egemonica e criminale della liberaldemocrazia viene rivendicata apertamente, in totale spregio dell’altro, e persino degli “alleati” (su ciò, la questione dei “dazi” è illuminante).

Trump dimentica, per così dire, la sensazione di spaesamento che prova chi deve convivere nello scarto tra comportamenti e valori; smette di provare vergogna per la sua parte più repellente (e vera). Non c’è più bisogno di distinguere i piani, bensì di renderli congrui con gli imperativi geopolitici.

Come dimostra la fraterna accoglienza tributata a Netanyahu, da Trump in avanti la qualità dei “valori” liberaldemocratici dipenderà sempre di più dai “valori operativi” del capitalismo statunitense; il linguaggio non farà più distinzioni: ed è proprio con il linguaggio che non solo si rende possibile, ma addirittura di rivendica l’inquietante simbiosi tra democrazia e genocidio.

Trump è solo la parte più evidente di quel processo storico che ha portato a snaturare completamente il significato della “democrazia”, ed è questo processo di smembramento “dall’interno” che ci rende così tolleranti nei confronti di comportamenti politici ripugnanti, e del genocidio dei palestinesi in particolare. Più che a una società realmente democratica, quella occidentale somiglia sempre di più a una tribù che fa fiera esposizione della propria ideologia suprematista.

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