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01 febbraio 2025
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Grazie 2024: lettera di un giovane palestinese
traduz. di Antonella Salamone

Grazie, 2024, per avermi fatto sentire nostalgia della mia terra, dentro me stesso. Grazie per avermi costretto a mettere in discussione tutto, tutto dentro di me, intorno a me, persino la mia esistenza in questo universo. Non ti definirei il peggiore, perché non ho idea di cosa mi aspetta dopo.

Non ho letto cento libri, né ho viaggiato per il mondo. Non ho raggiunto alcun obiettivo. Non me ne sono mai prefissato nessuno, nemmeno di sopravviverti. Dopotutto, chi sapeva se sarei sopravvissuto a te? O se sarei semplicemente diventato storia, come te.

Ogni ricordo di te è inciso nella mia anima. Ogni scena è impressa nella mia mente. Mi rifiuto di dimenticarti e non lo farò. Sei il mio primo anno, la prima pietra posta sotto tutto ciò che deve ancora venire.

Chiedo giustizia per te. Chiedo giustizia per me stesso. Chiedo giustizia per ogni momento di impotenza. Chiedo giustizia per la mia disabile Sitto Rahma di 77 anni, nata all'ombra di Al-Nakba, le rughe della sua mano disegnano la mappa dell'esilio e degli alberi di fico. E ora nel suo crepuscolo, i suoi occhi verdi piangono un'altra Nakba.

Il suo nome è Rahma, ma dov'è la pietà? Chiedo giustizia per la mia sorella più piccola che implora un lecca-lecca, immaginando di leccare un arcobaleno. Una richiesta così semplice da parte di una bambina di 6 anni, che non posso soddisfare. La mia sorellina, che si preme le sue piccole dita sulle orecchie per bloccare il disumano tuono artificiale.

Chiedo giustizia per tutti i tuoni che hanno trasformato la sua calda casa e il suo scintillante asilo in un biscotto bruciato. Chiedo giustizia per la sua conoscenza enciclopedica dei proiettili di artiglieria: il rombo dell'F-16, il ronzio implacabile dell'Apache, il ronzio inquietante del quadricottero che taglia il cielo. Ogni suono, una lingua che le sue orecchie hanno dovuto memorizzare, meglio di qualsiasi veterano di guerra esperto.

Chiedo giustizia per le risate che ho dovuto strapparmi. Chiedo giustizia per l'illusione in cui ho dovuto vivere perché la realtà è inabitabile. Chiedo giustizia per la tenda gelida, per la mia casa, la mia biblioteca, il mio comodo divano di legno. Chiedo giustizia per tutti i libri non letti, le pagine vuote e quelle lette con annotazioni che non ho lasciato vedere a nessuno.

Mi chiedo se la mano di un soldato li abbia toccati, violentati con una rapida occhiata. Non avrebbe mai potuto sapere quanto sono sacri i miei libri. Quanto sono stati leali, quanto hanno vissuto profondamente in me.

Chiedo giustizia per mio padre, il padre dei suoi studenti, che ha spianato la nostra strada verso il futuro ma non ha trovato la strada per la salvezza. Chiedo giustizia per gli ordini di evacuazione all'alba. Per fortuna hanno lanciato un missile di avvertimento, mandando in frantumi la facciata dell'edificio, ma uccidendo i nostri vicini. Massacrando la nostra gente per evacuare noi. Salvando i nostri corpi torturando le nostre anime.

Chiedo giustizia per mia madre, che una volta preparava banchetti di maftool e non trovava nulla da cucinare. Chiedo giustizia per gli infiniti mesi di insonnia, tirando notti in bianco al ritmo di una sinfonia di droni che mi scavavano nella testa, il sapore amaro dell'ansia che mi si aggrappava all'interno della bocca.

Chiedo giustizia per la mia giovinezza sprecata. No, non ho 19 o 20 anni, ne ho 80. Perché ho perso me stessa. Sfumature di rabbia sono ciò che sta arrivando.

Perché tu, 2024, potresti andartene, ma io non dimenticherò.

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