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28 gennaio 2025
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Palestinesi come giardinieri dopo un temporale
di Rossella Ahmad

Amici ed amiche che vi sforzate, in maniera encomiabile devo dire, di dimostrare giustamente che non i palestinesi siano i terroristi, ma Israele e la banda di pirati coloniali che ad esso si accompagnano, fate come i palestinesi. E come me. Fottetevene, e scusate il francesismo. E alla grande, anche.

Cosa volete che importi ad un figlio di una terra da riconquistare palmo a palmo, a costo della propria vita individuale, di come venga definito nel decadentissimo occidente, padre di tutti i terrorismi, di tutti i colonialismi e di tutti i genocidi? Ve lo dico io: nulla.

Che li chiamino pure come credono. Si riferiscano pure ad essi con i termini più dispregiativi, nei loro consessi malati. Nulla cambierà nella storia, anzi nell'epopea, di un popolo che ha fatto del sacrificio personale pane quotidiano. E che, nel farlo, è divenuto stella polare di ogni movimento di liberazione nazionale, di ogni anelito di libertà in qualunque parte di questo pianeta alla deriva ma che conserva nel suo grembo profondo semi vitali.

La nobile lotta palestinese per la riconquista della sua terra ancestrale, sottrattagli da un depravato colonialismo d'insediamento nella maniera più violenta ed aggressiva possibile, brilla di luce propria. Chi non la vede è cieco. Lasciamolo alle sue tenebre. Si trasformeranno in spettri prima o poi. La verità si è palesata in maniera cristallina, ma il peggior cieco è chi non vuole vedere.

Contano i fatti sul terreno. Quelli che sono avvenuti, che stanno avvenendo e che avverranno. Le nomenclature idiote che a nulla servono lasciamole alle anime morte dei Parenzo e dei suoi simili. Che se le raccontino tra di loro, esattamente allo stesso modo in cui, in piccolo, se le raccontano tra loro i sionisti del web, nelle loro piccole arene di millantatori conclamati. Che celebrino tra loro la loro memoria senza memoria e senza senso. Non gli crede più nessuno.

Ed i fatti sul terreno ci dicono che la Resistenza resiste e vincerà alla fine. Non c'è alcun dubbio su ciò. Nessun tentativo di pulizia etnica che i colonialisti hanno concordato tra di loro, con l'astuzia di chi faccia i conti senza l'oste, andrà a buon fine. Le radici sono solidamente piantate nella terra, e, nello scambio, ricevono mutuo sostegno e forza.

Guardavo ieri sera un documentario sul 7 ottobre, in arabo. Le immagini ipnotiche di quella terra, il sole all'orizzonte, le dune rivestite di luce, la tenerezza degli olivi abbarbicati su piccole alture senza tempo parlano del popolo che lotta per essa. Quella terra ne porta impresse le orme ancestrali e le reclama. E rigetta tutto il resto, ciò che non gli appartiene.

Il popolo di Gaza torna al nord, al centro, al sud, in ogni angolo di quella striscia che non striscia, nelle macerie, tra i palazzi diroccati, nelle strade ancora coperte di detriti e sangue. Un fiume interminabile di cuori e membra che fluisce, mentre i colonialisti complottano, adirati. Non si era mai visto nulla del genere, dicono. Ed hanno ragione.

Non si era mai visto nulla del genere. "Poiché la disperazione era un eccesso che non gli apparteneva, si chinò su quanto era rimasto della sua vita, e riiniziò a prendersene cura, con l’incrollabile tenacia di un giardiniere al lavoro, il mattino dopo il temporale”.

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