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16 gennaio 2025
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Dopo la tregua: una analisi
di Leandro Leggeri

La recente approvazione di un cessate il fuoco a Gaza segna un momento storico che potrebbe essere interpretato come l’inizio della fine del progetto sionista in Palestina. Dopo 15 mesi di guerra brutale, in cui decine di migliaia di palestinesi hanno perso la vita e milioni di persone vivono in condizioni di estrema precarietà, la resistenza palestinese ha dimostrato una straordinaria capacità di resilienza e riorganizzazione.

La nomina di Mohammed Sinwar, figura strategica e riservata, alla guida delle Brigate Izz al-Din al-Qassam ha rafforzato la struttura operativa di Hamas, mentre le continue perdite inflitte all’esercito israeliano hanno evidenziato l’incapacità di Israele di raggiungere i propri obiettivi militari.

L’accordo di tregua rappresenta un evidente fallimento per Israele, costretto ad accettare condizioni imposte dalla resistenza palestinese. Tra queste, lo scambio di prigionieri, il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati nelle proprie case nel nord di Gaza e la ripresa degli aiuti umanitari.

Queste concessioni smascherano il fallimento degli obiettivi dichiarati dall’occupazione: eliminare la resistenza, mantenere un controllo permanente su Gaza e ottenere la resa incondizionata dei prigionieri israeliani. Le parole di esponenti dell’estrema destra israeliana, come Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, che definiscono l’accordo una “resa”, riflettono il clima di crisi interna che Israele sta vivendo.

Benjamin Netanyahu, già politicamente indebolito e sotto il peso di un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra, è stato costretto a piegarsi di fronte alla pressione della resistenza e delle famiglie israeliane.

Il significato geopolitico di questa sconfitta va ben oltre i confini di Gaza. Israele non solo ha fallito nel consolidare il controllo sulla Striscia, ma ha anche perso credibilità sul piano internazionale.

L’espansione delle colonie in Cisgiordania, sostenuta dagli Stati Uniti, continua a essere un elemento di tensione, ma il crescente isolamento politico di Israele e l’aumento del sostegno globale alla causa palestinese minano ulteriormente la sostenibilità del progetto sionista. Le campagne di solidarietà internazionale hanno giocato un ruolo cruciale, denunciando le atrocità commesse da Israele e smascherando i governi complici, come l’Italia, che continuano a fornire sostegno militare e politico all’occupazione.

La resistenza palestinese ha dimostrato che il progetto sionista, basato sull’espansione coloniale e sulla soppressione del popolo palestinese, non è invincibile. La capacità di mobilitarsi nonostante la devastazione ha infranto la narrativa di invulnerabilità di Israele, mostrando al mondo che la determinazione di un popolo può sfidare anche le potenze più oppressive. Tuttavia, questa tregua non deve essere vista come un punto di arrivo.

L’occupazione continua, e il rischio di nuove violazioni da parte di Israele è sempre presente. È essenziale trasformare la solidarietà internazionale in un impegno politico concreto, sostenendo la ricostruzione delle infrastrutture e del sistema sanitario palestinese, e mantenendo alta la pressione su Israele per porre fine definitivamente alla sua occupazione.

Questa tregua, pur rappresentando una vittoria per la resistenza, non può cancellare le immense sofferenze inflitte al popolo palestinese. Ma segna un punto di svolta nella storia del conflitto, dimostrando che il progetto sionista non solo può essere fermato, ma che la sua stessa esistenza come forza coloniale e oppressiva è inesorabilmente destinata a collassare di fronte alla determinazione e alla lotta del popolo palestinese.

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