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Tregua da prendere con cautela
di
Rossella Ahmad
Mi chiedono perché sono cauta a proposito della tregua annunciata e firmata.
Perché conosco i miei polli. Non è la prima volta che accade una cosa del genere nel momento in cui stia per insediarsi un nuovo presidente statunitense. Accadde anche nel 2009, ad esempio.
Sarà dunque solo il tempo a dirci se si tratti di una mossa politica "cosmetica" concordata con la nuova amministrazione USA, o se si tratti di una fine delle ostilità per evidente impossibilità di completare un progetto già pianificato di pulizia etnica e riconquista.
E, detto tra noi, la soluzione del problema palestinese richiede ben altro che una tregua.
E poi perché ho avuto modo di assistere alla discesa negli inferi dell'intera società israeliana, o quasi.
Da quelle parti vogliono la guerra, non è una novità. E vogliono la testa di Hamas su un piatto d'argento, la quale cosa non è possibile ovviamente poiché hamas è un'idea, e come fai a decapitare un'idea.
Qualunque premier dello stato genocida, compreso Mileikowsky che è squilibrato già di suo, dovrà venire a patti con questa realtà e con la possibile implosione di una società tenuta assieme con la saliva, pronta a perdere pezzi ad ogni possibile scossone. E ciò che è accaduto a Gaza è ben più di uno scossone: è stato un terremoto che devasterà quel tipo di società, ma direi qualsiasi società, per gli anni a venire - ammesso e non concesso che vi siano anni a venire - ancora più di quanto abbia scosso Gaza e la sua gente, nonostante i lutti e le atrocità subite. Perché i palestinesi lottano per la propria terra, per il proprio diritto violato e per la giustizia, e dunque sono estremamente più forti dei colonizzatori, nonostante le loro armi atomiche, nucleari, spaziali.
Una parte consistente di quell' agglomerato eterogeneo è composto poi dal movimento colonico che devasta la Cisgiordania e che mira a rientrare in possesso della striscia di Gaza, forte delle promesse incassate nel momento in cui furono smantellate le colonie e la striscia fu resa area liberamente bombardabile, a cadenza praticamente annuale: le colonie ritorneranno, e questo è uno smantellamento puramente cosmetico e strategico, d'immagine quindi.
Detto questo, io sono molto felice della tregua. Uno stop anche limitato e temporaneo - il termine tregua questo significa - della carneficina in atto, che si traduce in migliaia di vite umane salvate, è qualcosa di estremamente importante per me e per tutti coloro che da quasi 500 giorni assistono impotenti ad uno stillicidio infinito di morte e distruzione.
Osservo con cautela, tuttavia. Anni di Palestina mi hanno insegnato a non fidarmi troppo, ed a tenere i piedi ben saldi a terra. Nonostante un'immagine globalmente devastata, e lo stigma di un genocidio che diventerà sempre più grande, ingombrante e vergognoso, lo stato coloniale accentra nelle sue mani un potere finanziario e mediatico che nessun colonialismo mai ha posseduto nella storia, con i media corporati costantemente impegnati nel candeggio di quest'immagine, per cui l'utente medio riceve un'immagine di ritorno completamente distorta dei fatti.
Questo però è il momento di tirare il fiato e di abbracciare idealmente i superstiti di Gaza, nostri fratelli e sorelle, e la loro commovente resistenza nel territorio. Con la consapevolezza amarissima che migliaia e migliaia di vite di donne, uomini e bambini avrebbero potuto essere salvate con facilità, se solo gli Stati Uniti avessero voluto. Con un colpo di telefono.
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