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E io non feci nulla
di
Alessandro Ferretti
Ormai è evidente che la grande maggioranza della nostra società lascerà che i palestinesi vengano massacrati fino alle più estreme conseguenze.
Lasciando da parte la working class, che è troppo assorbita dall’assicurarsi la sopravvivenza individuale per avere grandi energie da rivolgere altrove, quello che colpisce è la complicità del ceto medio. La parte più ricca e colta della nostra società, che qualche leva ce l’avrebbe pure, non ha la minima intenzione di fare alcunché per salvare i palestinesi dallo spaventoso e deliberato massacro generalizzato che Israele sta infliggendo loro.
La stessa cosa fece la borghesia cent’anni fa, davanti agli orrendi crimini dei fascisti all’interno e all’estero. Il comportamento è quindi simile, ma le differenze tra i sue periodi sembrano grandissime: durante il fascismo c’era una dittatura, un partito unico, leggi e disposizioni specifiche per impedire la libertà di esprimersi e apparati repressivi e di controllo per applicarle.
Si poteva quindi pensare che ai tempi l’ignavia fosse dovuta a paura delle conseguenze del dissenso, mentre adesso siamo molto più liberi di esprimerci, di fare attività politica, di esprimere contrarietà senza incorrere nelle gravi conseguenze dell’era fascista.
Quindi, se non è la paura delle conseguenze, perché tantissimi sono di fatto complici di genocidio? Stante il fatto che esprimersi contro il massacro, anche senza chiamarlo genocidio, comporta conseguenze tutto sommato lievi, viene da pensare che i silenti ritengano che i benefici sociali derivanti dallo spezzare una lancia a favore di chi sta sotto di loro nella scala sociale siano ancora minori di quelle negative.
Credo sia proprio questo il trait d’union tra l’epoca fascista e l’attuale: entrambi i periodi sono successivi a sconfitte storiche delle classi subalterne. Durante il fascismo vennero piegate a suon di squadrismo e violenza, mentre oggi lo sono state “grazie” alla globalizzazione che ne ha sostanzialmente azzerato il potere contrattuale rendendo inutile la negoziazione.
Oggi come ieri, molti membri del ceto medio pensano che i subalterni siano stati ormai “addomesticati”, e quindi si sentono stupidamente liberi di dare sfogo alla loro caratteristica arroganza e di disinteressarsi (quando non addirittura infierire su) di essi senza rischiare di patire conseguenze negative.
La situazione dei palestinesi è quindi solo la conseguenza più estrema della tracotanza di coloro che si trovano in posizione di vantaggio e hanno ogni interesse a intendere la società come una competizione darwiniana e disumana, senza regole nè quartiere.
Ciò che tali membri del ceto medio, nella loro abissale stupidità, non riescono ad afferrare è che questa situazione è resa possibile non, come amano credere loro, da una loro grande superiorità intellettuale e valoriale, ma semplicemente dal possesso del monopolio della violenza... e quando una struttura sociale si basa solo sulla forza, chi detiene la forza è re, al di là di ogni finzione democratica, e non deve rendere conto a nessun altro: tantomeno a un ceto medio notoriamente imbelle e fondamentalmente servile, forte coi deboli ma debolissimo coi forti.
Gli inesistenti sforzi del potere per affrontare la crisi ambientale in modo concertato e sostenibile dimostrano che chi sta davvero in alto ha chiaramente deciso di affrontarla trincerandosi in fortini dorati e al contempo imponendo una grossa “cura dimagrante” alla facoltà riproduttive del resto del genere umano, a base di guerre militari e sociali.
In questo contesto il ceto medio scoprirà ben presto di essere anch’esso inutile e sovrabbondante tanto quanto gli attuali subalterni, e destinato quindi a fare sostanzialmente la stessa loro fine: “vennero a prendere i subalterni, e io non feci nulla perché non ero subalterno... ma quando finirono di prendersela con gli ultimi, scoprimmo che ad essere ultimi eravamo rimasti noi”. Troppo tardi.
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