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Poveri palestinesi e poveri noi
di
Nevio Gambula
Aveva ragione il grande intellettuale Edward Said: la questione palestinese è «l’oggetto del più spinoso problema internazionale del dopoguerra», una sorta di metafora dei popoli privati di ogni diritto in ragione dello sfruttamento intensivo delle loro terre.
Chiunque osservi con onestà la storia di quel conflitto, non potrà non riconoscere che il popolo palestinese vive sotto occupazione, con tutto ciò che comporta: aumento degli insediamenti di coloni, continue violenze, economia soffocata, esodi forzati, case distrutte.
Già nel 1969 le Nazioni Unite avvertirono della gravità della situazione dei palestinesi, sottoposti continuamente a atti come «punizioni collettive, carcerazioni arbitrarie, imposizione del coprifuoco, distruzioni di case e proprietà private, deportazioni ed altre misure repressive nei confronti dei rifugiati e degli altri abitanti dei Territori Occupati». Nel 1969.
Se è vero che questa condizione non giustifica i terribili attacchi del 7 ottobre, è altrettanto vero che ne fornisce il contesto; credere che il problema sia stato o sia Hamas è da idioti. Il problema principale è uno solo: l’esistenza di una forma di colonialismo – quello israeliano – che ha come obiettivo la sopraffazione e la cancellazione dei palestinesi.
Chiunque abbia a cuore la questione dei diritti – umani, civili, politici – non può non essere turbato da questa storia, nella quale uno stato colonizzatore controlla la vita di un popolo nativo e non esita a sterminarlo pur di affermare le proprie strategie di controllo; non può non invocare l’arresto immediato di ogni supporto – economico, militare, tecnologico – a Israele.
Embargo, sanzioni e isolamento diplomatico sono le soluzioni che ogni sincero democratico dovrebbe invocare affinché si creino le condizioni per fermare il genocidio e per giungere a una pace che rispetti entrambi i popoli, israeliano e palestinese.
Ma queste soluzioni sono avvertite come impossibili; nell’attuale condizione geopolitica, gli equilibri dell’area medio-orientale e le strategie egemoniche delle potenze – globali e locali – hanno bisogno di Israele e della sua forza militare. Non ci dobbiamo dunque stupire se in questa situazione il genocidio appare come il male minore o persino una necessità; ci sono persone che preferiscono farsi strumenti di una forza egemonica – dunque, di interessi parziali – piuttosto che di mettersi al servizio dell’umanità.
Siamo circondati da cinismo e abiezione. Poveri palestinesi, e poveri noi.
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