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20 dicembre 2024
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Siria 2011: rivolta popolare o strategia di regime change?
di Leandro Leggeri

Non condivido l’idea che gli eventi del 2011 in Siria siano stati una genuina rivoluzione, poi degenerata in una ribellione jihadista finanziata dall’Occidente. Numerose prove dimostrano che l’insurrezione non è stata un movimento spontaneo, ma piuttosto il risultato di una strategia orchestrata da potenze occidentali e regionali con l’obiettivo di rovesciare il governo di Bashar al-Assad.

Documenti classificati, resi pubblici da WikiLeaks, rivelano che già nel 2006 gli Stati Uniti consideravano il regime siriano un obiettivo strategico da destabilizzare. Tali documenti mostrano un piano deliberato per sfruttare le divisioni religiose e settarie in Siria, delegittimando il governo. Un cablogramma dell’ambasciata americana a Damasco suggeriva di utilizzare «l’aumento della presenza di estremisti» per incrementare l’instabilità e ribaltare la narrativa secondo cui il regime siriano fosse una vittima del terrorismo, trasformandola invece in una critica al governo stesso.

A queste iniziative si aggiunge l’operazione “Timber Sycamore”, un programma segreto lanciato dalla CIA nel 2012 con il sostegno di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, volto a fornire armi e addestramento ai ribelli siriani. Già nel 2006, secondo il giornalista Seymour Hersh, l’amministrazione Bush aveva iniziato a lavorare per destabilizzare la Siria, e nel 2008, durante una conferenza Bilderberg, Condoleezza Rice aveva formalmente chiesto la caduta di Assad.

Questo piano non era esclusivo degli Stati Uniti: il Regno Unito aveva sviluppato strategie simili, come confermato dall’ex ministro degli Esteri francese Roland Dumas, che ha dichiarato che già nel 2009 funzionari britannici discutevano di invadere la Siria con l’aiuto di ribelli addestrati. Anche in Francia c’erano visioni diverse: mentre alcuni pensavano che Assad sarebbe crollato presto, altri dubitavano di una caduta rapida.

In sostanza, la guerra in Siria non è nata da proteste popolari spontanee, ma da un conflitto orchestrato per ridisegnare gli equilibri geopolitici della regione. La NATO e i suoi principali membri – Stati Uniti, Regno Unito e Francia – hanno sostenuto politiche di destabilizzazione, appoggiando gruppi ribelli che hanno radicalizzato il conflitto e aggravato la crisi umanitaria. Anche il progetto "The Day After", promosso da un istituto tedesco, faceva parte di un piano per gestire il periodo post-Assad, ma in realtà rientrava nella logica del regime change guidata da attori internazionali.

Questo non implica in alcun modo approvare il regime di Bashar al-Assad, che è stato una tirannia brutale e oppressiva, anche se non diversa da altre dittature che, essendo alleate dell'Occidente, tendiamo a non criticare, come si può osservare nel comportamento di Renzi durante la sua visita in Arabia Saudita.

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