Siria: dalla tragedia alla farsa
di Gabriele Germani

Ahmed Al-Sharaa (nome cambiata da Al-Julani per dire che lui non è un jihadista) due giorni fa ha detto: "La Siria non sarà l'Afghanistan, credo profondamente nell'educazione delle donne".

Io ho come l'impressione che l'opinione pubblica occidentale sia regredita drammaticamente ad una sorta di infanzia collettiva.

Mi spiego, che il signore Al-Sharaa (he/she, vista la fase di riorganizzazione dell'identità) possa aver cambiato idea, nessuno glielo nega, capita a tutti e nel suo caso lo accogliamo anche positivamente visto che prima stava con Al-Qaida.

Il dilemma è invece che lo stesso ha liquidato la sua "parentesi" nel mondo dell'integralismo islamico come "una fase della vita"; capite bene che non è che il signore in questione si facesse le canne o amasse mangiare l'ananas, che dici "sono fasi", il signore stava in un gruppo terroristico che sgozzava i rivali politico-culturali.

Il fatto che qualcuno glielo abbia suggerito di dire "fasi della vita" o peggio che lui abbia pensato fosse un modo per buttarla in caciara: è inquietante.

Il tutto si aggrava con il lavoro sull'icona.

Il tipo in questione indossa una maglietta verde Zelensky, si muove come lui, ha lo stesso sguardo vacuo e come il nostro comico di Kiev sta subendo quel processo di santificazione, forse sarebbe meglio dire di padre-pizzazione, perché non è solo un santo è un santo che parla, che viene mostrato quotidianamente.

Compra l'accendino con la faccia del jihad... Ehm del leader sinceramente democratico!

La cosa inquietante è che tutto questo funziona.

Se lo fanno è perché funziona, vuol dire che l'opinione pubblica occidentale è così poco abituata allo spirito critico che abbina una camicia di una tonalità alla lotta del bene contro il male, basta replicare lo schema e il messaggio arriverà implicito.

Siamo una società di cani di Pavlov, d'altronde sono settanta anni che la psicologia anglosassone lavora per convincercene.

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