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Non guardatelo
di
Rossella Ahmad
Non so se abbiate mai visto il film "Funny Games". Bene, se non lo avete fatto, non fatelo. Almeno non ora.
È, per chi conosca la realtà della Palestina, la trasposizione cinematografica di un microcosmo che la riproduce esattamente, con lo stesso livello di sadismo che vediamo in azione oggi, davanti a noi. E che era simile nell'epoca in cui vidi il film per la prima volta, sicché pensai subito: hanno preso come spunto la vita nei territori occupati.
Il film si svolge in una tranquilla casa sul mare, in cui due ragazzi di bell'aspetto, apparentemente in cerca di aiuto, riescono ad entrare con uno stratagemma. Da quel momento, la famiglia che vi abita vivrà un incubo per mano di questi due archetipi del male gratuito, quello che si fa per divertimento, per noia e per alienazione: torturati ed ammazzati poco per volta, dopo avergli spiegato quale sarà il loro destino. Nessuna motivazione reale ma pedagogica capacità di inventarsene molte.
Un film disturbante, tanto che il protagonista maschile dovette ricorrere all'analisi per molto tempo dopo la fine delle riprese ed il regista Wim Wenders non riuscì a completarne la visione. “Era come un incubo. E se ho un incubo io cerco di svegliarmi, mi alzo, per sottrarmi ad esso”.
La violenza psicologica esercitata sullo spettatore è compendiata nella scena finale, in cui uno dei due psicopatici ammicca alla telecamera: "Voi su chi scommettete? State dalla loro parte, vero?".
Il male che vince, beffardo.
Ecco: immaginate un Funny Games infinito, da cui non ci si può svegliare, in cui non vi sono riprese cinematografiche che ad un certo punto termineranno. I cui protagonisti sono persone reali, che subiscono violenze, torture e vessazioni psicologiche vere, in cui i due psicopatici sono moltiplicati per migliaia e sono reali. Ed in cui anche il finale è reale, e noi che osserviamo non riusciamo ad avere giustizia. La giustizia non trionfa. Non esiste forza antagonista che restituisca vita e libertà alle vittime innocenti, che operi una specie di catarsi sul nostro senso di impotenza, e ci liberi dall'oppressione e dal senso di frustrazione che ci annichilisce.
Perché la storia della Palestina è proprio questa. Una brutalità senza tempo e senza spazio, un gioco sadico che, purtroppo, non è un gioco. E fa ammalare.
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