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Romania: il terremoto delle presidenziali
di
Leonardo Masella
Nei giorni scorsi è avvenuto un fatto molto positivo per il mondo intero, che non a caso ha sorpreso e mandato sotto shock la dirigenza della Ue e della Nato.
Un fatto censurato o sottovalutato dai grandi network televisivi occidentali che parlano alle masse popolari, evidenziato invece dalla stampa seria dell'imperialismo, preoccupatissima. In Romania si è tenuto il primo turno dell'elezione del presidente.
Si è verificato un terremoto politico, come lo definisce la stampa occidentale o uno tsunami, come lo hanno chiamato in Romania. È arrivato primo, del tutto inaspettatamente rispetto ai sondaggi (pilotati dalla Nato), il candidato contrario alla guerra alla Russia,
Călin Georgescu, con il 24% dei voti, mentre i sondaggi della vigilia gli attribuivano tra il 4 e il 6%. Seconda, col 20%, è arrivata
Elena Lasconi, sindaca e politica di centrodestra, liberale e filo-Nato. Viene escluso dal ballottaggio il candidato socialdemocratico europeista di centro-sinistra dato per favorito dai sondaggi, il primo ministro in carica Marcel Ciolacu, che si è fermato al 19,15%.
A nulla sono servite le strategie elettorali dei due grandi partiti della Nato, i liberali di centro-destra e i socialdemocratici di centro-sinistra, e i milioni di euro spesi in campagna elettorale.
I gruppi dirigenti della Nato e della Ue sono sotto shock perché la Romania non è né la Moldavia né la Giorgia, dove già si era vista questa tendenza al cambiamento rispetto a 30 anni fa. La Romania ha ben altro peso strategico ed economico nell’equilibrio europeo.
Le due forze apertamente “filo-russe” hanno raggiunto, sommate assieme, circa il 40%. Ora al secondo turno, che si terrà l'8 dicembre, è molto probabile che la Nato riesca a far vincere la candidata liberale, ma un dato è certo: nei paesi dell'Europa dell'est che facevano parte del Patto di Varsavia, così come in quelli che facevano parte dell'URSS (vedi la Moldavia e la Georgia), il vento sta cambiando negli orientamenti popolari.
Ha influito in parte la situazione reale del capitalismo liberista che ha attenuato le illusioni della fine degli anni '90, e in parte la ripresa economica e politica della Russia, che comincia ad essere vista con interesse da popoli e governi di questi paesi. Una Russia alla testa, assieme alla Cina, dei Brics allargati che diventano il motore economico, tecnologico ed energetico del mondo garantendo a miliardi di persone benessere e qualità della vita senza precedenti, a confronto di una Ue in crisi economica politica e a degli Usa spaccati e incapaci di mantenere il dominio sul mondo in via di dedollarizzazione.
Il mondo sta cambiando e ovviamente anche all'est europeo lo percepiscono. I tempi saranno lunghi per vari motivi, ma l'importante è la tendenza che e cambiata rispetto al passato in cui i popoli dell'est venivano attratti, comprensibilmente, da un Occidente scintillante e libero rispetto al grigiore repressivo della burocrazia dell'est.
Anche per questo la Nato non intende mollare facilmente la guerra in Ucraina, farà di tutto per non darla vinta a Putin, o quanto meno vuole farlo vincere il meno possibile. Perché i capi della Nato sanno che una vittoria della Russia aprirebbe una voragine nel consenso occidentale non solo nei paesi dell'ex-Urss ma anche nei paesi dell'ex-Patto di Varsavia. E probabilmente anche fra i popoli europei occidentali, in primus la Germania dove pesa ancora all'est la storia della DDR e dove la crisi economica è particolarmente acuta.
La lezione per i teorici della vittoria del capitalismo e della fine della storia per gli eventi della fine del secolo scorso, è che la storia si valuta nei tempi lunghi, non minuto per minuto come siamo abituati in Occidente.
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