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Israele si accanisce contro l'ospedale che resiste
di
Alessandro Ferretti
Una notte letteralmente infernale: la furia genocida dell’esercito israeliano approfitta delle tenebre per cercare di disfarsi una volta per tutte dell’ospedale Kamal Adwan. Quelli che erano bombardamenti quotidiani si sono trasformati in un attacco pressochè ininterrotto contro tutto ciò che fa funzionare l’ospedale, incluso il personale sanitario.
Il direttore Abu Safia ha raccontato che nella notte appena passata Israele ha attaccato l’ospedale per ben sette volte con colpi di artiglieria e bombe sganciate da quadricotteri, senza mai preavvisare il personale, colpendo il cortile dell’ospedale, i serbatoi d’acqua (che sono stati perforati), l’ingresso occidentale, il generatore dell’elettricità (nuovamente danneggiato, insieme alle linee dell’ossigeno appena rabberciate) e, per due volte, l’ingresso del pronto soccorso, La prima volta è stato ferito il dottor Saeed Joudeh, che è stato soccorso nel suo reparto dal collega Nihad Ghanem.
Quest’ultimo, domenica scorsa, lavorava all’ospedale quando è stato avvertito che l’esercito israeliano aveva bombardato la sua casa. Alla notizia è corso subito, arrampicandosi sulle macerie della sua casa per cercare sua moglie e suoi figli, chiamandoli a gran voce, nella speranza di poter almeno ascoltare i loro ultimi respiri,, ma invano: erano rimasti tutti schiacciati sotto le macerie, dove si trovano tuttora.
Secondo testimoni, dopo aver capito che i suoi familiari erano tra le oltre 70 vittime della strage, il dottor Ghanem si è asciugato le lacrime con il dorso delle mano sinistra e con la mano destra ha appoggiato lo stetoscopio sulla spalla ritornando all’ospedale, per ricominciare la fatica di Sisifo di tentare di salvare le vite incessantemente falciate dalla ferocia dei colonizzatori.
Stanotte, quando il suo collega è rimasto ferito, è toccato proprio al dottor Ghanem di soccorrerlo… ma solo due ore dopo l’esercito israeliano ha nuovamente bombardato l’ingresso del pronto soccorso ed è toccato a Ghanem rimanere ferito ed essere bisognoso di cure. Nel giro di due ore si è così anch’esso trasformato da medico a paziente. Oltre a lui, è stato gravemente ferito l’operatore che avvolge i corpi degli uccisi nei sudari. In meno di 48 ore Israele ha quindi ferito nove membri del personale dell’ospedale e danneggiato pesantemente la sua operatività, riducendola al lumicino.
Ci sono ancora 80 pazienti bisognosi di cure e 4 bambini nelle incubatrici: il direttore dell’ospedale continua incessantemente a chiedere la cessazione degli attacchi e l’apertura di un corridoio umanitario, ma ormai è evidente che la foga colonizzatrice non ha la minima intenzione di fermarsi. Però, nonostante tutto, il direttore Abu Safia continua con incredibile tenacia a lavorare, a rischiare la vita, a denunciare i crimini israeliani e a chiedere l'intervento della comunità internazionale mostrando una calma e una perseveranza inconcepibile, che hanno del sovrumano.
Un giorno, oltre a chiedersi come sia stato possibile che il mondo abbia lasciato Israele libero di commettere un genocidio, i posteri si domanderanno come sia stato possibile che i palestinesi siano riusciti a resistere così a lungo alla furia scatenata di un esercito iperviolento e assetato di distruzione.
Se la risposta si trova (come è probabile) nei legami indissolubili di solidarietà e fratellanza cementati da decenni di comune sofferenza e dolore, allora saranno ben pochi i cittadini dell’individualista e vacuo Occidente in grado di afferrare appieno il senso profondo dell’incrollabile tenacia dei palestinesi, che resterà nella storia come esempio supremo di virtù che resiste ad ogni dolore.
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