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Semplici gesti che noi facciamo a Gaza sono proibiti
di
Alessandro Ferretti *
A Gaza piove, e così due milioni di palestinesi scacciati dalle loro case sono costretti a vivere, mangiare e dormire nel fango. Come si vede dalla foto, gli sfollati non hanno delle tende vere e proprie ma ripari di fortuna realizzati con plastica e lenzuola che non possono impedire all'acqua di allagare il terreno su cui sono poggiati.
In queste tende non vivono solo giovani robusti e sani, ma milioni di persone fragili, ferite e denutrite: anziani, disabili, malati, donne incinte, neonati.
Ovviamente Israele ha impedito la consegnare di una quantità adeguata di tende vere, di indumenti invernali, di sacchi a pelo, di stufe e del combustibile per farle funzionare. Non so se avete mai provato ad stare al freddo bagnati fradici, senza potersi asciugare né riscaldare: è niente meno che una tortura, costante, implacabile, dolorosa.
Immaginate ora di dover subire questa tortura con meno di un pasto al giorno, nel terrore costante che una bomba ammazzi voi e i vostri cari, nell'indifferenza pressoché totale di tutti coloro che potrebbero fare qualcosa per soccorrerli e aiutarli, quindi senza alcuna prospettiva di miglioramento.
Oggi ho visto anche un video in cui un cane randagio sbrana il corpo di un palestinese ucciso, e un altro in cui il direttore dell'unico ospedale parzialmente funzionante del nord di Gaza (cui qualche settimana fa Israele ha assassinato il figlio) cerca di consolare un suo collega cardiologo cui Israele ha appena ammazzato tutta la famiglia: 17 persone assassinate in un bombardamento mirato sulla loro casa.
Da quando è in corso il genocidio a Gaza mi capita spesso di bloccarmi mentre compio dei gesti quotidiani: quando mi verso un bicchiere d'acqua, quando porto un boccone di carne alla bocca, quando mi lavo e ora anche quando accendo i termosifoni.
Mi blocco perché penso a quei milioni di persone, di fratelli e sorelle nella famiglia dell'umanità cui questi semplici atti sono proibiti, a causa non solo della ferocia assassina di uno stato militarmente superpotente ma anche per l'indifferenza di tantissime altre persone che vivono nell'agio e nella sicurezza e chiudono occhi e orecchie per non sapere, per non provare sensi di colpa o malesseri che rovinerebbero il loro vacuo buonumore.
Rimanere umani di fronte a un genocidio ha dunque un costo, ma anche per chiudere deliberatamente gli occhi bisogna pagare un prezzo, che è la disconnessione dall'umanità e da ciò che è umano.
Il genocidio, tra le tante lezioni che ci ha impartito e continua a impartire, ci ha mostrato che la morte civile è la conditio sine qua non per essere felici nelle nostre società false e distopiche; ma se questo è il prezzo da pagare per essere felici, io preferisco pagare il prezzo in tristezza, rabbia e lotta: un prezzo che mi permette di restare umano.
* Coordinatore Commissione Pace dell'Osservatorio
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