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Le sacre e sante guerre di questo secolo oscuro
di
Raffaele D'Agata *
Essere consapevolmente contemporanei di qualcosa come il sacro macello di Gaza (anche mentre e dove si rende tributo a impegni e ritmi di una quotidianità finora protetta o concessa) comporta varie cose tra cui questa, essenziale, sulla quale può essere utile qui concentrarsi: il sacro macello di Gaza è una delle manifestazioni più orrende, uno dei segni più sinistramente eloquenti, dell’età di tenebre che il ventunesimo secolo finora rappresenta nel cammino dello spirito umano.
Età di tenebre era quella in cui esaltati avventurieri armati con grandi croci beffardamente esibite sul petto vagavano, ruggendo salmodie blasfeme, tra le mura della sacra città conquistata (la sempre troppo sacra e santa Gerusalemme) affondando ferrei calzari nel profondo lago di sangue infedele sgorgante da corpi sventrati tra scheletri di dimore bruciate. Ma quanto diversa si presenta oggi Gaza?
Il ritorno del sacro e comunque della sua rilevanza globale, in forme mutevoli e in parte camaleontiche, visibilmente spesso anche attivamente antagoniste, ma sviluppate da premesse storiche profondamente univoche e omogenee, fu uno dei veleni che ferirono quasi a morte (sapremo farle guarire?) le speranze del Novecento. Ideologi e maestri della reazione mondiale, dopo la grande e largamente comune vittoria democratica del 1945, cominciarono presto a trattare la religione, le religioni, come un’arma.
Così, per cominciare, la sanguinosissima partizione dell’India ex-britannica non fu fatale ma largamente favorita dal declinante impero mondiale, insieme con quello allora ormai aspirante ad emergere in suo luogo e con ruoli simili, nel quadro di un’intesa mirante a far sì che tutto cambiasse affinché tutto restasse uguale: e l’alleanza con potere già da tempo condiviso con determinate gerarchie religiose produttrici di ignoranza e schiavitù spirituale, foriera di violenza, fu consapevolmente teorizzata e scelta a questo fine.
Questa scelta di fondo fu perseguita con relativa prudenza e intermittenza (ma con un picco rivelatore in Indonesia nel 1966) per circa trent’anni, mentre processi di democratizzazione reale (non più contradditori di quanto sempre siano i veri processi storici), accompagnandosi con la decolonizzazione, erano ancora forti e intimorivano la reazione.
La fine degli anni Settanta costituì un tornante. Mentre il potere irresponsabile dei privati signori del denaro finiva di essere restaurato sulle rovine delle innovative strutture del democratizzato sistema finanziario di Bretton Woods, non restaurate né aggiornate ma solo abbattute, un’alleanza con oscuri predicatori di fanatismo occasionalmente ricolmi e anche ricolmati di denaro, e l’alimentazione suo tramite di stuoli di fanatici e fanatizzati, indirizzava verso le tenebre una contraddittoria crisi in Asia centrale, tuttavia aperta a soluzioni razionali, in una vera e propria guerra rivolta a piegare e possibilmente cancellare l’insopportabile, imperfetto ma influente, risultato della rivoluzione e dei princìpi del Diciassette.
Un altro segno era rappresentato dallo strano e improvviso Conclave vaticano del 1978, con il quale è difficile non mettere in relazione l’esistenza in quegli anni di cose come una influente “Foundation Democracy [sic] and Religion”, da cui si sarebbero sviluppate, sempre sui fianchi dell’Urss, cose come non tanto la protezione del cattolicesimo in Polonia (che in realtà non ne aveva poi tanto bisogno come tale) quanto la rivendicazione nazionalista di una “Polonia cattolica”, culturalmente simile a quella di una “Francia cattolica” portata avanti negli anni trenta dall’ateo (a modo suo) Charles Maurras.
Altrettanto contemporaneamente, sempre in quegli anni di svolta, l’operazione di definitiva liquidazione del nasserismo iniziata con oblique e rischiose acrobazie lasciando fare e tramando in vista della “guerra del Kippur” era completata favorendo l’intesa tra un re-islamizzante Sadat e un ex terrorista fascista salito al governo in Israele in alleanza con l’ultra-ortodossia rabbinica da allora sempre più potente in quello Stato pur tanto bisognoso di ragione, moderazione (e sano relativismo) se doveva fondare in qualche modo su basi non acrobatiche, ossia umanamente relativizzate, la sua problematica esistenza.
Solo un massiccio tradimento della cultura, degli intellettuali, può sostenere le favole che imperversano su tutto questo. Lottare su questo terreno è veramente essenziale. Aggiungendo e specificando che, nel mondo che ci ospita fregiandosi di nomi come “Occidente” ed “Europa”, una casta di sacerdoti è al potere, e chi scrive non sa ancora spiegarsi ciò davvero altrimenti che come ripetizione dello schema di scambio di convenienze (e vantaggi) tra poteri di fatto e vari tipi di clero.
Ci voleva un prelato non del tutto ignaro o sospettoso di Gesù Cristo, alla recente conferenza sul clima, per ricordare al mondo che nemmeno il Debito è sacro (se mai qualcosa debba esserlo).
Abbiamo il coraggio di cominciare da questo?
* già Ordinario di Storia Contemporanea e di Storia delle Relazioni internazionali, Componente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio
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