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USA: chi vince i delegati si piglia tutto
di
Roberto Rizzardi
Ho notato che la gran parte dei nostri connazionali tende ad analizzare i risultati delle presidenziali statunitensi con i criteri validi per il nostro sistema elettorale, che - pure se contaminato da molti correttivi maggioritari, voluti dal centrodestra e non contrastati da un centrosinistra che pensava, sbagliando, di trarne vantaggio - rimane pur sempre nativamente e ancora significativamente proporzionale, abbastanza comunque da indispettire la nostra Presidente del Consiglio, e cameratume vario ed assortito, che spingono per passare ad un assetto più decisionista e sdraiato sui desiderata dell'esecutivo in carica.
Molti quindi si affannano a pesare con il bilancino il divario dei voti popolari per uno o per l'altro candidato, con la conseguente radiografia della distanza percentuale tra i candidati, e in molte occasioni digerendo malissimo il fatto che negli USA si può perdere pur incassando la maggioranza dei voti popolari, e viceversa, e non raccapezzandosi nelle analisi prodotte dai media americani, che ai nostri occhi appaiono un poco “fuori squadra”, quando non decisamente velleitarie.
Il fatto è che gli statunitensi non ragionano in percentuali e milioni di voti, ma solo sul numero di grandi elettori, con il voto popolare ridotto a dimensione ancillare, più aneddotico che sostanziale. Sono elezioni indirette nelle quali gli elettori di ognuno dei 50 stati della Federazione designano un numero di "grandi elettori" commisurato alla consistenza demografica del proprio stato (la California, per esempio, ha 51 grandi elettori, mentre l'Alaska ne ha solo 1).
Quei grandi elettori poi votano il candidato presidente in coerenza con la maggioranza espressa dal loro stato. Non vi è una divisione proporzionale che rispecchi il voto popolare, chi vince per un voto si piglia tutto.
La conseguenza principale è che il Presidente designato, in virtù di quell'assurdo sistema, risulta come se fosse stato votato da tutti, favorevoli, contrari e perfino astenuti, come se avesse fatto cappotto. Il voto popolare assume al massimo una valenza politica assai marginale, di cui agli americani cale pochissimo, e comunque stavolta Trump vince anche nel voto popolare, contrariamente a ciò che successe contro la Clinton, nel 2016, quando The Donald vinse pur prendendo 3 milioni di voti in meno rispetto alla Clinton.
Chi perde è come se non fosse mai esistito. Una forma di democrazia tossica.
Sta di fatto che il divario tra i due, alle ore 9.48 di oggi 7/11/24, è di 69 voti su 538, grosso modo il 12,83%, che su una base così ristretta mi pare un risultato chiarissimo ed una vittoria devastante.
Non so se lo scrutinio sia realmente completo, il sistema che mette assieme voti anticipati, postali, con scheda tradizionale e "voting machine" è piuttosto farraginoso, ma credo che al massimo avremo piccoli ritocchi e tutti in favore di Trump, dato che la Harris non si muove più da ore da quel 226.
Sul perché abbia vinto un caso umano come Trump ci sfiancheremo a lungo, senza concludere nulla, temo, ma certamente le dinamiche che portano un candidato USA a vincere, o a perdere, in queste come in altre elezioni, sono strettamente legate a quel sistema elettorale.
 
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