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06 novembre 2024
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Israele costringe le detenute palestinesi a togliere il velo
di Gabriella Mira Marq

La recente decisione di Israele di confiscare abiti tradizionali come jilbab, hijab e niqab alle detenute palestinesi nella prigione di Damon, costringendole a indossare tute grigie e vietando i copricapi, rappresenta una grave escalation nell’abuso sistematico e nell’umiliazione dei detenuti.

Anche se per gli occidentali l'uso del velo è considerato una costrizione imposta alle donne per motivi religiosi, l'imposizione contraria priva coloro che vogliono indossarlo per scelta - che sia derivante da motivi tradizionali o religiosi - della possibilità di farlo. Inoltre le donne in tal modo si sentono violate.

Un precedente storico si ebbe in Algeria, quando i francesi, che dominavano il paese durante 132 anni di colonialismo, usavano il divieto del velo come arma politica e di mortificazione per le donne. Proprio per questo, per molte donne musulmane, il velo assume anche un significato politico e il divieto di usarlo diviene un affronto.

Le fazioni palestinesi hanno condannato queste azioni come “crimini atroci” e un affronto a tutti i valori religiosi, legali e umanitari, sottolineando che tali atti non possono rimanere senza risposta. Hanno riaffermato che il popolo palestinese possiede sia la volontà che la determinazione per affrontare “Israele” e resistere alle sue pratiche aggressive contro i detenuti, soprattutto donne e bambini.

Le fazioni hanno inoltre sottolineato le terribili condizioni affrontate dai detenuti palestinesi, citando perquisizioni arbitrarie quotidiane e la privazione di beni di prima necessità come cibo, medicine, vestiti e coperte. Queste azioni, hanno sostenuto, equivalgono a danni psicologici e fisici intenzionali, come evidenziato dai rapporti e dalle statistiche in corso.

Da parte sua, Hamas ha invitato tutte le organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani e le organizzazioni legali, in particolare quelle focalizzate sui diritti delle donne, a fare pressione sul governo israeliano affinché ponga fine alle sue pratiche abusive.

Anche il Movimento della Jihad Islamica ha condannato le palesi violazioni dell’amministrazione carceraria israeliana, etichettando il codice di abbigliamento forzato imposto alle detenute palestinesi come parte di una guerra psicologica e di un rinnovato attacco alla loro dignità.

Il movimento ha affermato che questa azione rappresenta un tentativo disperato di spezzare la volontà delle donne palestinesi, inquadrandola come parte della più ampia guerra in corso contro il popolo palestinese.

Queste misure repressive, hanno aggiunto, fanno parte di un modello più ampio di trattamento brutale, che comprende il rifiuto delle visite familiari, l’isolamento e la tortura psicologica e fisica, tutti progettati per minare i diritti umani dei detenuti.

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