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2 novembre 1927 - La dichiarazione Balfour
di
Rinaldo Battaglia *
Foreign Office, 2 novembre 1917
Egregio Lord Rothschild,
È mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni dell'ebraismo sionista che è stata presentata, e approvata, dal governo.
"Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni".
Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione a conoscenza della federazione sionista.
Con sinceri saluti
Arthur James Balfour»
C’è un documento importante e una data che non ho mai sentito pronunciare in quest'ultimo anno in cui il Medio Oriente è diventato il centro del mondo e dov’è in corso da 13 mesi l’ennesima guerra. Una delle tante che, almeno dal 1948 – ma anche prima - hanno sporcato quella zona.
È la ‘non-famosa’ dichiarazione Balfour, datata 107 anni fa, il 2 novembre 1917.
Eppure, ricordarla, tenendola bene a mente, potrebbe facilitare i ragionamenti, perché quel documento prova che tutti – noi europei, per primi - siamo stati una delle tante cause di questa tragedia, per ovvi nostri interessi di parte. Pertanto, dobbiamo essere in prima linea, anche noi, per trovare pacifiche soluzioni. Non possiamo essere solo spettatori, lasciando ad altri ruoli di maggior peso.
Mi spiego meglio andando nell’excursus storico. La dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 non è altro che una lettera, molto importante - allora e dopo - scritta dal ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild, in quel preciso momento, primo rappresentante della comunità ebraica inglese, referente del movimento sionista nell’intero Regno Unito e ‘faro’ dell’intera Europa per gli ebrei. È un documento ufficiale in cui il governo inglese del conte David Lloyd George – al potere dal 1916 al 1922 – non solo permetteva ed autorizzava, ma anzi invitava - ripeto invitava - la comunità ebraica a trasferirsi in Palestina e lì creare un movimento sionista. Si affermava così di guardare con favore alla creazione di una "dimora nazionale per il popolo ebraico" o per riprendere le testuali parole della lettera “la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”.
Ovviamente quella dichiarazione nasceva dopo mesi di contatti e relazioni ed era stata approvata dall’intero governo, già nel consiglio del 31 ottobre 1917.
Certo: non è che prima del novembre 1917, in Palestina, non vi fossero arrivate ed insediate comunità ebraiche e nemmeno che prima di allora il movimento sionista non avesse mai spinto gli ebrei europei a quella destinazione. Era già dalla fine del XIX secolo, come conseguenza dei pogrom e delle violenze religiose soprattutto nell’Est Europa, che era iniziato - in maniera continua - un esodo quasi regolare. E gli ebrei lì arrivati crearono, come dicono gli storici, ‘nuova realtà culturale e sociale, parallela a quella araba palestinese’.
Nacquero città come Tel Aviv, come Petah Tikva (in ebraico significa ‘porta della speranza’), si svilupparono nuove economie e nuove forme di associazionismo per aumentare la produzione agricola (i kibbutz e i moshav), punto di partenza di qualsiasi civiltà fin dalla notte dei tempi. L’integrazione col mondo arabo fu assorbita sufficientemente bene, anche perché allora il potere era in mano ai Turchi. In Palestina si era, infatti, ancora sotto l’impero Ottomano.
Poi arrivò la Grande Guerra e l’Impero Ottomano seguì il destino di quelli del Kaiser e di Francesco Giuseppe, in quanto alleati e quindi i primi nemici degli Inglesi, la principale vera ‘potenza’ europea rimasta. La dichiarazione Balfour divenne così importante perché – durante la guerra - modificò le carte in tavola, soprattutto in Palestina e per la Palestina.
Si era in guerra, nella parte finale del conflitto. E se in Europa nel novembre 1917 non era ancora chiaro chi avrebbe vinto e quanto altro sangue sarebbe stato necessario per dire ‘basta’ (fino al 5 agosto 1918, quando fin l'offensiva di primavera o, meglio, la “Kaiserschlacht” – la "battaglia per l'imperatore" - le sorti erano molto incerte) l’oroscopo dell’Impero Ottomano era oramai segnato sin dal 1916. Era facile ipotizzare la sua sconfitta e con essa lo smembramento inevitabile e totale del Medioriente in più stati, nuovi e separati, ma sempre non indipendenti e non autonomi (si sarebbe cambiato in altre parole solo il ‘padrone’). Non a caso, l’impero Ottomano sarà il primo a firmare la resa, già il 31 ottobre 1918 con l’armistizio di Mudros. Dopo seguirà l’Austria/Ungheria il 4 novembre ed infine la Germania l’11 novembre.
La dichiarazione Balfour anticipava così i tempi e si portava avanti col lavoro, approfittando dei nuovi eventi sul fronte internazionale (e per primi la ‘Rivoluzione russa’, che era di fatto in corso già dal 23 febbraio 1917 quando vi era stata la prima ‘miccia’ a Pietroburgo). Si deve sapere infatti che già il 16 maggio 1916 Inghilterra e Francia avevano firmato l’accordo Sykes-Picot, dai nome dei due diplomatici che lo avevano studiato e preparato: il britannico Mark Sykes e il francese François Georges-Picot. Di fatto, avevano preso una cartina geografica del Medioriente, disegnato qualche riga come confine e detto ‘a guerra finita e vinta, questo è mio e questo è tuo’.
Rimaneva però una zona non ancora bene definita, perché vi era dell’interesse anche della Russia zarista: la Palestina. Era troppo strategica, soprattutto per il suo sbocco sul mare e per l’importanza anche religiosa – non solo economica - di alcune sue città. Gerusalemme per prima. La Francia si era tenuto quello che poi sarà il Libano, ma il nome del nuovo padrone della Palestina era ancora incerto. E non a caso Mark Sykes e François Georges-Picot scrissero che quella zona “doveva essere destinata ad un'amministrazione internazionale coinvolgente l'Impero russo e le altre potenze vincitrici”.
Il 2 novembre 1917 la ‘dichiarazione Balfour’ sistemava tutto. L’Inghilterra, vista la probabile assenza futura della Russia, utilizzando l’afflusso degli ebrei europei in Palestina poneva le basi ad un suo più facile controllo e parallelamente tacitava, dall’interno, eventuali future ambizioni autonomistiche arabe. E così avvenne, perfettamente. La dichiarazione Balfour divenne un muro portante del trattato di pace, sottoscritto a Sèvres il 10 agosto 1920, che stabiliva la fine delle ostilità contro la ‘nuova’ Turchia, nata dalle ceneri dell’Impero Ottomano, assegnando a tutti gli effetti la Palestina al Regno Unito. Tutto ribadito e confermato, poco dopo, dal mandato della Società delle Nazioni nel 1922.
La ‘dichiarazione Balfour’ era un condensato di ambiguità, non parlava assolutamente di Stato autonomo ed indipendente degli ebrei in Palestina, ma è chiaro che il termine “focolare nazionale per il popolo ebraico” lasciava spazio a interpretazioni opposte, ossia quello che gli inglesi perfettamente volevano far capire tra le righe. E gli ebrei europei in Palestina arrivarono con più forza, convinti e rassicurati dagli accordi della ‘Balfour’ e da quelli, a questa, successivi.
Dati alla mano la popolazione ebraica in Palestina passò dalle 80.000 persone registrate nel 1918 alle 175.000 nel 1931 e ad oltre 400.000 nel 1936, quando in Germania l’antisemitismo nazista era già evidente ed operativo. E man mano che cresceva il numero degli ebrei, crescevano anche gli attriti e i contrasti con la popolazione araba, originaria del luogo. Prima della guerra del ’39 l'amministrazione britannica, in seguito di pericolose rivolte arabe, fu così costretta a porre dei limiti all’immigrazione e a contenere persino la vendita di terreni che gli arabi facevano agli ebrei, più facoltosi.
Poi arrivò la Shoah e bene sappiamo cosa provocò. E durante la Seconda Guerra Mondiale e durante la Shoah la comunità araba palestinese fu assolutamente dalla parte antiebraica, anti-inglese e soprattutto legata strettamente al nazismo di Hitler e del fascismo di casa nostra. La figura del Gran Mufti di Gerusalemme, Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī non permette dubbi. Il Gran Mufti, il capo indiscusso politico e religioso, lavorò attivamente per reclutare musulmani nelle formazioni internazionali delle Waffen-SS ed in quelle del Regio Esercito italiano, prima dell’8 settembre 1943.
E’ storia documentata che nell’aprile ’41 – mentre il Duce ed Hitler invadevano la Jugoslavia – il Gran Mufti di Gerusalemme tentò di eliminare in Iraq il Primo ministro filo-britannico e ufficialmente dichiarò la ‘guerra santa’ (jihād), contro la Gran Bretagna e i suoi alleati, trovando ampio spazio e sostegno di propaganda anche nell’Italia e dall’Italia. E quando il colpo di stato a Bagdad fallì a salvarlo fu proprio l’Italia, con l’intervento diretto di Galeazzo Ciano, con il massimo riconoscimento da parte del regime e con tanto di incontro ufficiale, il 27 ottobre 1941 a Bari, col Duce.
Come non bastasse, due affermati storici tedeschi - Klaus Michael Mallmann dell'Università di Stuttgart e Martin Cüppers dell'Università di Ludwigsburg – anni fa hanno scoperto la presenza di documenti ufficiali, nel Ministero degli Esteri nazista e nel Servizio degli Archivi Militari di Friburgo, in cui si certificava che se le truppe italo-tedesche, impiegate da Rommel nel Nord Africa, avessero vinto gli uomini di Montgomery e fossero arrivate in Egitto e poi in Palestina, Hitler aveva già preparato un'unità speciale, chiamata Einsatzkommando Ägypten, per portare a compimento lo sterminio degli ebrei di Palestina, ovviamente aiutati dai locali arabi del Gran Mufti. Non furono casuali, nel momento peggiore della Shoah e poco dopo Wannsee - tanto per capirci - molteplici incontri del capo arabo con Adolf Eichmann.
Furono scelte scellerate e probabilmente la sconfitta nazifascista e quindi anche di quell’alleanza araba, pesò non poco nella decisione dell’ONU, a guerra finita, puntando alla creazione di uno ‘stato degli ebrei’ in Palestina.
Possiamo quindi dire che la ‘Dichiarazione Balfour’ sia stato un passo fondamentale e determinante per come sono state gestite, dopo di essa, le vicende tra arabi ed ebrei nel territorio palestinese. Con molte moltissime colpe di tutti e poche, pochissime ragioni di pochi.
Sono passati 107 anni dalla ‘Dichiarazione Balfour’ e 76 anni dalla creazione dello Stato di Israele, se vogliamo veramente superare gli errori e gli orrori del passato non ci rimane che convincere tutti – tutti, arabi e non arabi, paesi vicini e paesi lontani, Stati amici e stati canaglia, che l’unica via sia inevitabilmente quella ‘dei due stati e due popoli’.
Ma i signori della guerra che, nei quattro angoli del mondo vivono della guerra e per la guerra, sono d’accordo? All’orizzonte non si vedono soluzioni alternative. Anche qui, ancora una volta, se esiste un’Europa, forse dovrebbe battere un colpo.
Se non ora quando?
2 novembre 2024 – 107 anni dopo
Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
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