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16 ottobre 2024
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Traumi ogni giorno
di Rossella Ahmad

In questo crescendo di orrori a cui ci sta condannando l'obbrobrio coloniale costituito su terra palestinese, ce n'è uno che non riesce ad uscire dalla mia mente. Ci penso di continuo, se chiudo gli occhi per qualche minuto mi sveglio con la sua immagine avvolta dalle fiamme, le braccia sollevate ad implorare un ultimo, disperato aiuto da un mondo che ha lasciato libere ed impunite le mani dei più clamorosi serial killer della storia.

Ho rivisto le sue ultime fotografie da vivo: giovanissimo, bellissimo, viso pulito da adolescente palestinese. Ingenuo, cioè, ancora aperto al mondo, incredulo che possa esistere qualcosa di meno rispetto all'umana solidarietà. Aveva fatto un video, ultimamente, in cui auspicava di evacuare dall'area sotto attacco nel più breve tempo possibile.

A Gaza tutti fanno dei video. C'è la frenesia di restare in vita in qualche modo, mentre la morte ti respira dietro la nuca tutto il tempo. Di sopravvivere all'inevitabile oblio. Di dimostrare che non di numeri si tratta, ma di persone in carne ed ossa, con una vita da costruire, da condurre, da ricordare. Giovani e giovanissimi per lo più. Costretti a fare i conti tutti i giorni con la concreta possibilità di evaporare da un momento all'altro. E quindi video come se non ci fosse un domani. Che di fatto non c'è.

La sua storia è quella di migliaia di altri, né più né meno. Si parla di cinquantamila, forse centomila, morti. Un numero sproporzionato, pauroso, di sogni, talenti, voci, ricordi interrotti. Per calcolarli bisognerebbe ricorrere alla formula di crescita esponenziale. E moltiplicare e moltiplicare ancora.

Ma anche i disperati tentativi di sopravvivere alla propria morte si infrangono contro il muro di gomma della censura. Molti video sono già spariti, tanti volti e voci e sorrisi increduli cancellati per la seconda volta dalla faccia della terra, come se non fossero mai esistiti. Se c'è però una morte che riattizza tutte le paure ataviche dell'essere umano, è quella che ha a che fare con il fuoco.

Bruciare da vivi, in un'orgia infernale di fiamme e fuoco che avanza ed ingoia, inesorabile. Un simbolismo devastante per noi umani. E mi chiedo quali demoni interiori muovano la mano dei carnefici, quale insano transfer abbiano operato, quale devastazione psicologica possa spingerli a godere della combustione lenta di altri esseri umani.

Per un attimo, guardando l'ultima, terribile immagine di Shaban Ahmad mi sono chiesta quali possano essere stati gli ultimi pensieri di questo giovane, mite studente di ingegneria del software mentre le fiamme lambivano il suo corpo, sotto la tenda che lui stesso aveva costruito per offrire un simulacro di protezione alla sua famiglia. Qualcosa che abbia a che vedere con l'ingiustizia del mondo, tipo.

Qualche giorno prima di morire, aveva scritto: "La mia vita è stata sconvolta. Una volta traboccante di sogni, ora affronto la dura realtà dello sfollamento e dell'incertezza. A Gaza i sogni muoiono, ed ogni spostamento lascia dietro di noi un nuovo pezzo delle nostre anime in frantumi. le notti, specialmente, sono spietate, riempite dai pianti senza sosta dei bambini che conoscono solo terrore e incertezza. Avevo grandi sogni, ma la guerra li ha distrutti. Soffro di depressione e perdo i capelli a causa del trauma che affrontiamo ogni giorno. Sembra che il tempo si sia fermato a Gaza e che noi siamo intrappolati in un incubo senza fine".

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