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Non pietà ma giustizia
di
Rossella Ahmad
A proposito delle innumerevoli Pietà di Michelangelo di Gaza, madri a cui vengono strappati figli e figli a cui vengono strappate le madri. Centinaia e migliaia di sculture viventi, cristallizzate nell'attimo del supremo dolore.
La questione palestinese non è una questione di pietismo spicciolo. Tutt'altro. Nessun palestinese vorrebbe essere considerato depositario di sentimenti di pietà e commiserazione.
E non è neanche una questione umanitaria. Le raccolte fondi, l'invio di vestiario e medicinali, pur utili in un contesto di assedio medievale, in cui l'assediato viene privato di tutto, non risolvono nulla. Nessun cataclisma o evento naturale inarrestabile ha ribaltato quelle terre, nessuna esondazione le ha allagate, nessun terremoto le ha rase al suolo, nessuna carestia ne ha decimato la popolazione.
Il sette di kharà ha semplicemente slegato la mano del carnefice e gli ha consentito di comportarsi liberamente da esondazione, terremoto e carestia.
La questione palestinese è invece una questione morale, innanzitutto.
Ed è la questione di giustizia per eccellenza.
La sua risoluzione passa dal riconoscimento del grave abuso subìto e dal conseguente contenimento delle forze del male che da decenni agiscono indisturbate per la demolizione fisica e morale di un popolo innocente, scelto come vittima sacrificale per risarcire gente a cui non aveva fatto alcun torto.
Nessun popolo ha subìto tanto. La negazione di sé, e conseguentemente la negazione di ogni sua istanza, non solo da parte del sionismo militante - che ha letteralmente costruito la sua storia su tale negazione - ma anche da parte dei suoi sodali di ogni tempo e spazio, che continuano imperterriti a frapporre tra sé e la realtà un muro di gomma di false assunzioni, di bizzarrie logiche, di vera e propria disonestà intellettuale: ditemi dove, a quale altro popolo, sia accaduta una cosa del genere. Dover dimostrare la sua esistenza ancora prima che la sua innocenza.
Il caso complesso. Il caso di cui bisogna eviscerare tutte le istanze possibili, compresa quelle delle donne iraniane. E invece non c'è questione più semplice di quella palestinese, classico esempio di colonialismo di stanziamento, in cui il colonialista, supportato dall'arroganza e dalle armi dei colonialisti come lui, giunge in un luogo abitato da untermenschen senza apparenti diritti, ne fa strage e vi si insedia. Dov'è la complessità, se non nel solito trick dell'uomo di paglia: gettare nel calderone tutto, proprio tutto, a partire dal pelosissimo e fintissimo feticcio per tutte le stagioni, le donne iraniane?
E intanto, mentre voi sodali del caxx indulgete nelle seghe mentali, nel nord di Gaza, nel campo di Jabalia, è iniziata la caccia all'uomo, a quelli che ancora resistono sull'ultimo lembo di terra libera al mondo. Colpiti come birilli, cadono bambini, donne, giornalisti. I loro corpi smembrati, raccolti in scatole e gettati in fosse comuni sempre più grandi, sempre più piene. Se vi occorrono disegnini per comprendere il progetto che israele sta tentando di realizzare, attaccatevi al tram. Feticisti del dolore umano e dell'umana sofferenza, non sarò io a fornirvi materiale per le vostre eccitazioni malate.
Ma è tutto in rete, tutto più che visibile. Andate e godetene tutti, questa è la carne dei palestinesi offerta in olocausto per la remissione dei peccati di tanti.
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