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Un anno dopo il 7 ottobre
di
Gabriele Germani
La resistenza palestinese con il suo gesto tra il disperato e il tragico ci ha dato segno che era possibile riaprire i giochi ancora con un rapporto di forze impari a favore del centro imperialista, ma che non tutto era predestinato.
La storia non era finita.
Abbiamo visto un genocidio in live streaming.
Dal bambino che cercava la sua ultima pagella in mezzo alla macerie, dicendo che gli mancava la scuola; all'altro che correva mentre lo zio riprendeva una casa crollata, dicendo che non trovava più il padre; al padre andato a registrare i due figli gemelli all'anagrafe e poi tornato a casa per scoprirli uccisi, assieme alla madre, nell'ennesimo attacco israeliano; alle persone vive che venivano estratte dopo due giorni dalle macerie e facevano segno di vittoria alle telecamere.
Abbiamo visto l'eroica solidarietà del popolo yemenita e libanese, una banda di montanari trasformatisi in pirati umiliare ripetutamente la più grande marina militare del mondo, abbiamo visto l'azione diplomatica cinese e le bombe su Beirut.
Qualche giorno fa intervistavo una giornalista libanese e la linea cadeva di continuo, i droni israeliani creavano interferenza.
Abbiamo anche visto un risveglio nel nostro Occidente, migliaia di persone sono scese in piazza, in strada, l'ultima volta sabato passato, sfidando un divieto, lo sciopero, la pioggia, le intimidazioni.
Non è la giornata per commentare derive nostre, locali, che si ripetono uguali da anni, copione alla mano, è la giornata per ricordare a noi stessi gli orrori della guerra, dell'apartheid e dell'ingiustizia.
Le guerre sono terribili, le morti vanno sempre evitate e non si può che provare compassione per chi è sotto le bombe, ovunque nel mondo.
Nostro compito però è anche quello di non lasciarci intenerire vedendo la morte della famiglia dello zar per mano dei bolscevichi, non è l'empatia o il giudizio, nostro compito è analizzare cosa ha condotto il popolo russo a quella reazione.
Sempre nella storia vi sono vittime e carnefici ed è diritto delle vittime ribellarsi per smettere di esserlo.
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