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05 ottobre 2024
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Israele in difficoltà nei confronti dell'Iran
di Francesco Dall'Aglio

Con qualche giorno di ritardo stanno venendo fuori foto più dettagliate (e soprattutto complete) degli aeroporti militari israeliani colpiti dall’attacco missilistico iraniano il 1 ottobre, soprattutto di quello di Nevatim, e le prime analisi sensate dei danni riportati.

Era ovvio che l’idea che il 90% dei missili fossero stati intercettati non poteva essere corretta e le immagini disponibili mostrano infatti i segni di numerosi impatti, anche se i danni restano limitati grazie alla ‟fuga di notizie”, voluta o meno, di un paio d’ore prima dell’attacco che ha consentito di allontanare gli aerei.

Grazie all’analisi su Twitter di Jeffrey Lewis, Decker Eveleth ed Edoardo Fontana si contano circa 32 segni di impatto su Nevatim; la percentuale di missili intercettati è stimata intorno al 75%, ma poiché molti missili hanno rilasciato più testate sullo stesso bersaglio il numero di impatti resta piuttosto alto e soprattutto si notano anche chiare tracce di distruzione di strutture protette.

Se consideriamo che il sistema di difesa antimissile israeliano resta probabilmente il migliore al mondo, c’è oggettivamente da essere preoccupati: non solo, come abbiamo già visto in Ucraina/Russia e nel Mar Rosso qualsiasi sistema può essere saturato, ma soprattutto l’Iran ha dimostrato la capacità di poter lanciare un gran numero di missili con discreta precisione – considerando anche che non tutti i missili impiegati erano di ultima generazione – e di farli arrivare a destinazione.

Questa cosa mette Israele in una situazione molto sgradevole per quanto riguarda la sua capacità di deterrenza, almeno nei confronti dell’Iran. Se da un lato è praticamente obbligato a rispondere, dall’altro ha appena avuto prova del fatto che il costo di una escalation potrebbe essere alto.

Israele ha sempre avuto dei problemi nel gestire le escalation, che gli derivano, paradossalmente, dal suo essere stato per molti decenni la potenza militare principale, per non dire spesso l’unica, della regione. Di conseguenza non si è mai dovuto preoccupare troppo delle conseguenze delle sue escalation, perché la sua capacità di danneggiare i nemici era sempre maggiore della capacità dei nemici di fare lo stesso.

La situazione adesso è parecchio cambiata, e le opzioni per Israele sono drammaticamente poche. Non può limitarsi a colpire Hezbollah, in Libano o in Siria: non solo perché questo verrebbe visto, e in maniera del tutto legittima, come una de-escalation, visto che il suo territorio è stato colpito da missili iraniani, non di Hezbollah, ma anche perché nei confronti di Hezbollah Israele si è giocato ogni grado dell’escalation uccidendo Nasrallah, e non c’è molto di peggio che possa fare (lo stesso discorso vale anche per Hamas: una volta che invadi e distruggi buona parte di Gaza ci sono ben poche altre minacce che possono far presa).

Per ‟pareggiare” l’attacco iraniano dovrebbe dunque colpire bersagli militari, o comunque strategici, sul territorio iraniano: ma la leadership iraniana ha notificato che a ogni attacco sul suo territorio seguirà una risposta ‟asimmetrica”, e la credibilità della sua deterrenza si è manifestata in maniera piuttosto evidente con l’attacco del 1 ottobre.

Certo, Israele ha la bomba atomica ma ovviamente l’ipotesi di utilizzarla non è da prendersi in considerazione, perché i danni riportati nell’attacco iraniano non giustificherebbero in nessuna maniera il suo impiego.

In passato Israele non si è fatto problemi e ha colpito anche asimmetricamente senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze, che sapeva sarebbero state inferiori ai danni procurati: ora però deve misurare con estrema attenzione le prossime mosse, ed è una cosa alla quale, palesemente, non è abituato.

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