|
Europa alla deriva
di
Gabriele Tonelli
E’ innegabile che l’Europa stia vivendo uno dei peggiori momenti dalla fine della seconda guerra mondiale. La guerra in Ucraina, seguita alla pandemia è stata la causa di tutte le nefaste conseguenze che ha prodotto e che stiamo vivendo.
L’Unione Europea, un progetto fondato sulla pace e sulle libertà, nata dalla memoria delle due guerre mondiali che l’avevano devastata è diventata uno strumento politico-militare alla dipendenza della Nato a guida Usa/Uk.
L’integrazione politica ed economica che si proponeva importanti traguardi, sempre con un ruolo che garantisse la pace, condizione essenziale per lo sviluppo e la crescita economica, si è scontrata con la realtà di una guerra che la sta portando ad un declino, forse irreversibile.
Le complicità dei governanti, sia della UE, sia degli stati nazionali, a sposare la causa della guerra alla Russia rifiutando i compromessi che l’avrebbero evitata (vedi Istanbul) è stata determinante.
La deriva bellicista e guerrafondaia della UE può essere fermata solo dalle politiche degli Stati nazionali che hanno (per fortuna) ancora l’esclusiva in materia della politica della Difesa.
Esaminiamo quelli decisivi o meglio, in primo luogo, quello decisivo che risponde al nome di Germania.
La Germania è quello Stato europeo che (dopo gli Usa) ha contribuito più di tutti al sostegno della guerra in Ucraina, sia con finanziamenti, sia con armamenti.
Ora però in quel paese le cose stanno velocemente mutando anche in previsione delle prossime elezioni politiche del 2025. L’alleanza che regge l’attuale Governo (socialdemocratici, verdi e liberali), viste le recenti elezioni regionali, non ha futuro.
Contrariamente a quanto è successo in passato si è registrata una forte ripresa della partecipazione al voto.
Le componenti più guerrafondaie, verdi e liberali sono alla frutta.
I liberali sono praticamente estinti e i verdi, solo in una delle tre regioni in cui si è votato hanno superato la quota di sbarramento dello 0,1%.
I due co-presidenti dei verdi tedeschi, Ricarda Lang e Omid Nouripour, si sono dimessi per lasciare spazio a facce nuove.
I verdi con l’elmetto, Robert Habeck, vice-cancelliere e ministro dell’economia, e Annalena Baerbock, ministra degli Esteri, sono stati i più accaniti sostenitori delle richieste di armamenti di Volodymyr Zelensky.
Il voto nelle tre regioni ha registrato, con voti a destra e a sinistra, una netta sconfitta della politica per la guerra. E’ ipotizzabile che prima di quanto si pensi, qualcosa di importante potrebbe succedere e se la Germania si mette di traverso alla politica UE, altri Stati seguiranno a cascata.
La Germania, la locomotiva d’Europa, è anche il paese che più di tutti paga il conto economico. E’ un paese in recessione: pil 2023 -0,3% e previsione 2024 -0,1%, e se la locomotiva non tira immaginate la fine dei vagoni.
La Francia ha i suoi problemi interni e Macron ha smesso di pontificare, dopo aver digerito gilet gialli, proteste per le pensioni, sconfitta elettorale dei suoi... perciò tace e acconsente a quello che succederà.
L’Italia è un caso a parte, pieno di contraddizioni. Meloni e una grossa fetta del PD sono filo-Nato e per Zelensky al 100%, ma alcuni contrappesi evitano scelte scellerate pro guerra.
Contrariamente a Francia e Germania, in Italia la disaffezione al voto continua.
Qualcuno dovrebbe riflettere su questa cosa, ma pare prevalgano altre priorità. Scegliere la pace non è in agenda.
Dossier
diritti
|
|