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30 settembre 2024
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Napoli: Life For Gaza, secondo atto
di Rossella Ahmad

Una meraviglia di diecimila persone stipate nell'area dell'ex Nato - un simbolismo che fa battere il cuore vedere una enorme bandiera palestinese laddove, fino a pochi anni fa, sventolava il simbolo dell' imperialismo per i tre quarti e più del globo terracqueo.

Una carrellata straordinaria di interventi e di musica: ribelle, incazzata, partecipe. Ma anche tenera, avvolgente.

Il momento più intenso: una serie di fotografie in bianco e nero aprono la serata. Un silenzio surreale cala nell'area. C'è spazio solo per i fotogrammi del genocidio, ritratti di artisti della macchina da presa, e per la musica incalzante che li accompagna. Un pugno nello stomaco di ciascuno, nonostante siano pane quotidiano per tanti di noi, da mesi.

Immagini che troncano il respiro. Che scolpiscono un'ombra di luce nell'oscurità più impenetrabile. Giorni e mesi di fotogrammi di una terra violata. Di un popolo resistente. Di una storia ancora aperta.

L'infodemia ci colpisce in faccia, ci annichilisce e ci scarnifica. Ridotti all'osso, i nostri pensieri diventano più affilati. Più puri. Ed i nostri occhi più capaci di discernere, scrutare, cogliere metafore ed allegorie. L'arte, nella sua forma più genuina. Che denuncia senza urlare, mostra senza fare rumore, colpisce al cuore senza armi.

Le immagini della Palestina e dalla Palestina questo sono. Ed a questo servono. Direi le immagini tutte, perché le guerre sono simili ovunque e le sofferenze impresse sul volto delle vittime uguali ad ogni latitudine. Ma mentirei. Perché nessuna vittima è sovrapponibile ad un'altra e perché in Palestina, assieme al genocidio, si consuma l'assassinio della verità.

Le immagini, l'infodemia di cui parlavo prima, vengono addomesticate, normalizzate, rese innocue dal loro stesso spropositato numero e dalla criminogena azione di chi ne falsifica il contenuto, il senso.

L'arte interpreta, invece. E mostra, senza visibilmente esprimere giudizi. Che restano sospesi come una mannaia sul collo di chi osserva. Ecco, io interpreto cosa avviene in Palestina. Te lo mostro senza filtri. Tra i muri ed i mari vive un popolo condannato al silenzio ed all'estinzione. Che si sta dissolvendo mentre infuriano sacche di indomita resistenza.

Guarda tu. Interpreta tu. Comprendi. E dai il tuo giudizio, che scaturisce da ciò che vedi, da ciò che io, artista, ti mostro attraverso i miei segni.

C'è spazio ancora per la musica. Anch'essa denuncia.

E alla fine la considerazione, forse banale, dell'enorme amore che circonda la Palestina. Mai popolo fu più amato.

E mai oppressore fu più odiato.

Napoli continua ad esserci, e tende la sua mano a Gaza, ancora una volta.

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