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Non è la prima volta ma ora lo sanno tutti
di
Rossella Ahmad
"Gli uomini vengono separati dalle donne; legati con corde di plastica prodotte in serie, le loro teste coperte da cappucci neri. Vengono portati via, picchiati, alcuni uccisi, altri torturati. Le loro case sono demolite da giganteschi Caterpillar. Venti uomini sono giustiziati intorno alle 8. E' un'altra mattina di pulizia etnica in Palestina".
Recuperato dal mio archivio. Gli avvenimenti risalgono all'anno 2001. Quasi venticinque anni fa.
Una pulizia etnica ed un genocidio a bassa intensità, ogni giorno di ogni mese di ogni anno. Ogni tanto qualche massacro eclatante, ma più spesso piccoli eccidi, digeribili per l'opinione pubblica mondiale, e costanti.
Bambini trafitti sull'uscio di casa o da pallottole vaganti mentre dormivano o giocavano o mangiavano o andavano a scuola. Pochi al giorno, in attesa della svolta.
Chi ricorda il visetto di Iman Hajjo? Mi perseguitò per giorni interi l'immagine di quella neonata, bella come una bambola, con un foro di proiettile nel piccolo petto.
Armi super tecnologiche sperimentate già allora sui profughi di Gaza. Al tempo si progettava anche l'arma biologica etnica, chissà cosa ne è stato dei dottori Mengele dell'epoca e dei loro sogni di sfoltire e sterilizzare una popolazione che aveva il grosso difetto di riprodursi.
Nel frattempo, veniva anche tessuto un cosiddetto piano di pace/frode, da cui i palestinesi erano esclusi. La pace tra il carnefice ed i supposti difensori della vittima, relegata ai margini delle trattative. Senza più voce. Senza più alcuna carta negoziale. Senza più nulla.
Tramontato Oslo e l'epoca delle prese in giro globali, si passava ai fatti. Alla normalizzazione con i paesi arabi, le famose paci separate con cui Israele mirava alla irreversibilità dello status quo ed i regimi arabi alla loro accettazione sulla scena globale, che non poteva prescindere dal riconoscimento dell'entità sionista. Alla faccia e sulla pelle dei palestinesi, designati vittime eterne della storia.
Gli accordi di Abramo, così li definirono.
La pietra tombale definitiva sulla questione palestinese, con un popolo che si apprestava a diventare come i pellerossa nelle riserve americane, ammazzati da alcol, droghe e scorie nucleari.
Il destino dei senza voce. Di coloro che incappano, per loro suprema sfiga, nelle maglie delle grandi democrazie occidentali. Ditelo a Rampini.
Il sette ottobre ha in qualche modo restituito voce ai pellerossa del secolo corrente. Ha congelato le paci separate, la vergogna finale che già attizzava l'immaginario dei governi coinvolti. Ha posto nuovamente la Palestina al centro della scena globale.
Nessun governo arabo potrà più prescindere da essa, e da una pace giusta. Nonostante il sangue versato, che ancora gela il sangue nelle nostre vene, o forse proprio a causa di esso. Un olocausto che non sarà invano.
La voce della Palestina siamo anche noi.
Come Siddartha, a gambe incrociate eppure in marcia affrontiamo la tempesta di fuoco, acqua e frecce che Mara, il demone illusorio, ci riversa contro.
Il suo volto è metafora di quello di ogni potere e dei suoi ignobili servitori, nei secoli dei secoli.
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