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20 settembre 2024
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Un filo rosso sangue fra il G8 di Genova e il genocidio in Palestina
di Alessandro Ferretti

Ieri ho visto “Di vita non si muore”, un film su Carlo Giuliani, che mi ha fatto ripensare alle giornate del G8 a Genova, e mi sono reso conto che c’è un chiaro legame tra la ferocia repressiva di allora e quella esercitata oggi sui palestinesi e sui libanesi.

A Genova arrivarono al pettine i nodi originati dal crollo del muro di Berlino. Il mondo era finalmente libero dall’incubo della Mutua Distruzione Assicurata e si era aperto un oceano di possibilità per un progresso planetario, diffuso e collettivo. Tutto era stato però dirottato dall’alto verso il progetto di sfruttamento intensivo del pianeta e dei suoi abitanti destinato a costruire il mondo di oggi, dominato da un’oligarchia di miliardari strapotenti interessati solo ad accumulare potere e privi di qualsivoglia interesse per la sopravvivenza della specie umana.

Quel progetto era così evidente e così impattante sulla vita delle persone comuni (come adesso abbiamo modo di verificare con mano) che furono molti a muoversi per cercare di fermarlo. La scintilla di Seattle del 1999 diede inizio a una serie di manifestazioni di protesta che misero tale politica in gravissima crisi di legittimità. Il problema degli sfruttatori globalisti era che non avevano alcuna risposta politica plausibile da offrire a chi protestava. Rispondevano ad esempio alle critiche sulla delocalizzazione, ovvero il trasferimento della produzione industriale dal Primo al Terzo mondo con conseguenti licenziamenti di massa, affermando che era giusto fare qualche sacrificio per portare ricchezza e prosperità nei paesi meno sviluppati.. e potete immaginare come simili ridicole risposte non solo non spegnessero le proteste, ma anzi confermassero la sfacciataggine degli sfruttatori e la loro pericolosità.

Nel breve volgere di due anni le proteste erano talmente forti, diffuse e globalizzate che non era più possibile, per le élites occidentali, riunirsi in alcun luogo senza venire braccate e assediate da decine e decine di migliaia di manifestanti, e la partecipazione era in costante aumento. Fu a quel punto che le élites presero la decisione di affrontare le proteste con una una pura e semplice repressione di stampo terroristico per intimidire i manifestanti, L’Italia, con il neofascista Gianfranco Fini a capo del ministero dell’interno e le sue forze dell’ordine mai seriamente ripulite dai retaggi fascisti, era la scelta ideale. Le conseguenti inaudite violenze e torture poliziesche sono nei libri di storia.

Il film si conclude affermando che fu la paura instillata nei manifestanti da quella ferocia che spense il movimento originato a Seattle, ma chiunque abbia partecipato a quei giorni potrà confermare che non è vero. Certo, nessuno era contento del fatto che le forze dell’ordine avessero alzato a dismisura il livello dello scontro arrivando a massacrare di botte, torturare e perfino uccidere i manifestanti.. ma anche dopo i fatti di Genova le manifestazioni contro i vertici dei potenti continuarono a lungo e furono molto partecipate, nonostante il pesantissimo clima generato neanche due mesi dopo dai fatti dell’11 settembre.

Quello che davvero minò il movimento contro la globalizzazione dall’alto fu la (non) reazione della cosiddetta “società civile” e della sinistra istituzionale. Di fronte a fatti di gravità così estrema come quelli genovesi, perpetrati per di più da un governo di destra sarebbe stato logico aspettarsi una grande mobilitazione civile, magari promossa dai Democratici di Sinistra (antesignani dell’attuale PD) e/o dalla CGIL.

Invece, non solo i due soggetti della sinistra istituzionale si guardarono bene dal mettere il loro peso in quel momento assolutamente cruciale, ma anche la cosiddetta “società civile” (quella piccola-media borghesia benpensante che proclamava a gran voce il suo antifascismo di facciata) fu quasi del tutto incapace di manifestare contrarietà e opposizione contro la fascistissima repressione di Genova. Col senno di poi, è facile notare come tra i motivi di tale ci fosse l’illusione/speranza che loro, a differenza della working class, sarebbero rimasti immuni dalle conseguenze negative della globalizzazione, accoppiata al borghesissimo senso del “decoro”, del bisogno esistenziale di distinguersi nettamente dal quadretto di protestatari perdigiorno, brutti, sporchi e cattivi dipinto dai media.

Fu così che chi protestava per un mondo migliore per tutti capì di essere sostanzialmente solo di fronte a una destra attivamente aggressiva e a una nuova “sinistra” piccolo-medio borghese interessata solo a delimitare il suo orticello per autoattribuirsi una inesistente superiorità morale. Fu la consapevolezza dell’isolamento sociale che minò il movimento contro la globalizzazione, non la paura dei manganelli. Oggi è facile notare che ovviamente a pagarne il prezzo furono anche i piccolo-medio borghesi, come il ventennale impoverimento generalizzato di quel ceto (totalmente incapace di difendersi dai tagli agli stipendi e al welfare state) dimostra in modo plastico.

Ad ogni modo, il messaggio alle élites arrivò forte e chiaro. L’assenza di reazione ai gravissimi fatti di Genova da parte dell’opinione pubblica della sedicente “nuova sinistra” italiana (ed europea) nata dopo il crollo del Muro mostrò loro che tale “sinistra”, a dispetto dei suoi roboanti proclami di antifascismo e moralità, era fortemente classista e quindi non avrebbe fatto da argine ai crimini commessi contro chi veniva percepito più in basso nella scala sociale: anche nel caso in cui tali crimini si spingessero al livello di autentiche e sistematiche torture. Tale assenza di reazione, in un paese che fino a dieci anni prima aveva avuto uno dei partiti comunisti più grandi dell’Europa occidentale, significava che non c’era bisogno di preoccuparsi, che le moltitudini di manifestanti erano in realtà sostanzialmente isolate e che per affrontare le loro proteste bastava scatenare contro di loro la potenza combinata di polizia e magistratura.

E avevano ragione. La vergognosa assenza di reazione della sinistra benpensante di fronte a quegli orrori agli orrori di Gaza conferma che, a dispetto degli altissimi principi costantemente declamati con grande autocompiacimento, non esiste alcuna consistente “società civile” disposta a schierarsi a difesa di diseredati, sfruttati e martoriati. L’ignavia sui fatti di Genova ha liberato le èlites dal timore di una catastrofica perdita di consenso e sdoganato la ferocia della repressione non solo poliziesca, ma anche genocidaria.. e anche stavolta, emerge chiaramente l’idiota illusione dei sedicenti sinistri benpensanti che Gaza non li riguardi, e che l’inazione non avrà conseguenze negative.

Anche stavolta si sbagliano di grosso, e presto sperimenteremo fino in fondo le nefaste conseguenze della spaventosa stupidità collettiva di questa privilegiata classe sociale.

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