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La distruttività umana
di
Alessandro Ferretti
Altre 14 persone uccise e altre centinaia di feriti anche ieri in Libano in una allucinante seconda ondata di esplosioni, accompagnata da ulteriori e nauseanti ondate di ammirazione verso la grande “capacità tecnologica” di israele di uccidere masse di persone e terrorizzare intere popolazioni.
Sappiamo benissimo che se ad avere commesso una simile azione fosse stato un nemico dell’Occidente, le stesse persone che parlano di “azione estremamente mirata” si straccerebbero le vesti parlando di atroce e intollerabile atto terroristico e chiederebbero un’immediata e violentissima rappresaglia. Come si spiega questo clamoroso doppio standard?
In realtà è piuttosto semplice: questa è gente che pensa solo ed esclusivamente a se stessa, totalmente priva di senso della collettività, impregnata di un'”etica” che è quella capitalista e hobbesiana dell'”homo homini lupus”. Sono quelli che che se vedono un bene incustodito lo rubano, che darebbero fuoco all’intera foresta amazzonica per mille euro perché “se non lo faccio io tanto lo fa un altro”; sono quelli che se gli rubi la borsetta ti arrotano con il SUV per riprendersela lasciandoti lì agonizzante e si giustificano regolarmente dicendo “chiunque al mio posto si sarebbe comportato come me”.
La chiave della loro mentalità bacata, che sdogana ogni tipo di violenza, sta infatti nella convinzione (in buona fede o strumentale che sia) che il resto dell’umanità sia identico a loro, che non esistano persone buone, che chiunque compia atti di bontà abbia secondi fini, sia ipocrita o abbia qualcosa da nascondere, che chiunque dica “io non ammazzerei il mio scippatore” sia un bugiardo, uno stupido, un anormale o un odiatore che li critica solo per attaccarli, per invidia o per altro.
Essendo convinti che il resto dell’umanità sia come loro o peggio, giustificano qualsiasi atrocità dicendo che è normale, è naturale, è nell’ordine delle cose esercitare violenza sugli altri perché altrimenti gli altri eserciterebbero violenza su di loro. E’ una prospettiva mentale che genera un circolo vizioso: dato che penso solo a me stesso e me ne frego degli altri, rubo la terra a un intero popolo, e quando quel popolo prima o poi reagisce ecco che ho la prova provata che mi odiano, mi invidiano, mi vogliono derubare e uccidere, e allora infliggo altra violenza e così via.
Ovviamente, praticando simili comportamenti è molto improbabile che questi soggetti siano in grado di guadagnarsi la stima e il rispetto degli altri esseri umani. Quindi suppliscono al fondamentale bisogno umano di non restare isolati accumulando potere e denaro, letteralmente comprandosi le persone, senza però mai riuscire ad ottenere affetto sincero, il che ne fa degli eterni insoddisfatti sempre in cerca di ulteriore potere e denaro.
Purtroppo non ci sono modi semplici di dimostrare a simili persone che la vasta maggioranza del mondo ama vivere in società, che ama socializzare e cooperare nel rispetto reciproco, perché questi non hanno alcun incentivo a capire la realtà. Per esempio, se Israele prendesse atto che i palestinesi sono normali esseri umani intollerabilmente vessati e non belve assetate del loro sangue a prescindere, toccherebbe loro riconoscere che rubar loro le terre e la libertà non va bene e questo comporterebbe rinunciare a parte del loro benessere, che si fonda sul furto delle terre e sul mantenimento dei palestinesi in condizione di schiavitù.
Quindi, inutile aspettarsi che questi si fermino da soli: il circolo vizioso paranoide si autoalimenta fino al parossismo e all’autodistruzione. Fermare questa follia distopica tocca a quella parte del mondo capace a vivere in pace e nel rispetto reciproco, che deve intervenire per fermare questa deriva psicopatologica. Ai più consapevoli spetta il difficile compito di svegliare i propri simili dal torpore, mostrando come le conseguenze dell’inazione e dell’ignavia di fronte al progredire esponenziale della violenza non si fermeranno davanti alle porte delle nostre case, ma travolgeranno tutti quanti e prima di quanto ci si possa aspettare.
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