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15 settembre 2024
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Settembre 1921 a Ravenna
di Roberto Neri

“Questa è soltanto la prima grande impresa, in regolarissima forma militare, del fascismo!” (dichiarazione di Italo Balbo alla fine dell’invasione da lui comandata).

Ravenna, 12 settembre 1921, si celebra l’anniversario della morte di Dante Alighieri, il cui sepolcro si trova in questa città. Ci si attende una commemorazione davvero storica; per la prima volta la ricorrenza del centenario (oggi è il sesto dalla scomparsa del Sommo Poeta) può vestirsi di quella “italianità” finora impossibile causa la divisione della penisola in vari Stati.

Non solo, oggi ricorre il secondo anniversario della controversa spedizione militare di Fiume scaturita dai cruenti discorsi di un altro letterato, Gabriele D’Annunzio, che da quella avventura è tornato battuto e depresso.

Comunque, per la duplice occasione più di 3000 fascisti, tra cui molte centinaia di reclute che fanno il loro esordio in camicia nera, si concentrano a Lugo di Romagna, preparando una spettacolare marcia il cui vero obiettivo non è la festa per Dante ma distruggere la florida rete cooperativa di Ravenna democratica.

A guidare la marcia sono Italo Balbo e Dino Grandi, divenuti nelle ultime settimane i più accesi critici di Mussolini, il quale sembra intenzionato a frenare le sue bande armate in cambio di un posto nel governo di centro destra. Balbo e Grandi pochi giorni prima hanno fatto visita a D’Annunzio, auto recluso nella sua villa sul Garda, per invitarlo a mettersi al comando dell’esercito che si sta radunando.

L’idea è esautorare Mussolini e sostituirlo alla guida del Fascio col poeta abruzzese, che però declina l’invito. Gli organizzatori decidono di marciare ugualmente su Ravenna con le 3000 camicie nere, raggiunte adesso anche da camerati pugliesi e umbri capeggiati dai feroci Giuseppe Caradonna ed Alfredo Misuri.

L’armata viene benedetta da due figure simboliche del nazionalismo bellico, i genitori dell’eroe dell’aria Francesco Baracca, nativo di Lugo e abbattuto durante la recente guerra. A piedi, l’orda stamani entra in Ravenna e subito rende omaggio alla tomba di Dante (nella foto), poi succede l’inferno.

Sotto gli occhi di numerose ma passive forze dell’ordine, i fascisti dilagano per due lunghi giorni; violenze e soprusi su persone, inclusi sacerdoti ed alti prelati come monsignor Celso Costantini, e poi invasioni di abitazioni, furti, rapine, saccheggi di negozi.

Vengono rase al suolo le cinque sezioni socialiste in città, la Camera del lavoro di largo Marsala, la Federazione delle cooperative e le loro sedi. Nel rogo del caffè Giabotto e del garage pieno di automezzi della Cooperativa trasporti e barocciai, i danni ammontano a circa 1,5 milioni di euro attuali.

Quanto prelevato durante i due giorni di invasione di Ravenna, cioè libri, mobili, documenti, strumenti, registri, bandiere, suppellettili, quadri e via dicendo, finisce nella attuale piazza del Popolo in un falò enorme che brucerà per ore.

I crimini snocciolati qui sopra, e l’insipienza della polizia, saranno denunciati già il 15 settembre al Governo con una istanza urgente da un anziano deputato ravennate, Nullo Baldini (1862-1945), testimone oculare della “prima grande impresa” fascista, scampato al fuoco che distrugge la sede delle Cooperative per le quali si batte da una vita.

Nella splendida foto scattata il 12 settembre 1921 sulla tomba dell’Alighieri dal maestro Ulderico David, che documenterà la devastazione di Ravenna, al centro ci sono i genitori di Francesco Baracca; in mezzo spunta Grandi, unico fascista in abito borghese, mentre Balbo è alla loro destra.

I due caporioni della marcia su Ravenna presto faranno pace con Mussolini, mentre la violenza squadrista, che non si era certo arrestata in attesa di “pacificarsi”, continuerà più irruente di prima.

Dino Grandi (1895-1988) tornerà a Bologna a litigare come sempre coi “ras” rivali della città, Arpinati e Baroncini, prima di venire chiamato a dirigere la politica estera del regime. Grazie alle sue conoscenze andrà a vivere fuori dall’Italia, dopo essere stato autore della mozione che, passata alla storia col suo cognome, il 25 luglio 1943 causerà la fine politica di Mussolini; impunito, rientrerà nel 1967.

Con le sue camicie nere Italo Balbo proseguirà a Ferrara, sempre stipendiato dagli agrari, ad assassinare braccianti e bruciare Camere del lavoro.

Balbo diverrà poi l‘aviatore celebrato in tutto il globo terracqueo, candidato a succedere a Mussolini; perirà pochi giorni dopo l’entrata in guerra del regno d’Italia, abbattuto “per errore” dalla nostra contraerea il 28 giugno 1940.

(fonti: quotidiani dell’epoca e la scheda sui fatti nel sito web della biblioteca Sala Borsa di Bologna, sezione cronologia)


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