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Missili a lungo raggio sulla Russia? Irrilevanti
di
Francesco Dall'Aglio
Il Financial Times ha spiegato, con un impatto un po’ più grande di quello che posso avere io, quello che scrivevo ieri: anche se la benedetta autorizzazione arrivasse risolverebbe molto poco.
Gli aerei russi sono stati spostati oltre la gittata dei missili, i missili da poter mandare sono pochi, e c’è scarsa volontà politica sia da parte della Germania, come oggi ha ribadito anche Scholz, che soprattutto degli USA. Insomma, poco effetto in cambio di molto rischio, non una buona combinazione.
Però effettivamente sia io che il Financial Times (scusate, mi rendo conto di quanto è ridicola una frase che comincia così) abbiamo posto l’attenzione soprattutto sui bersagli ‟grossi” come aeroporti, porti eccetera, meno invece su quella che sarebbe, molto probabilmente, la priorità ucraina, ovvero danneggiare le linee logistiche russe in profondità. Di questo ha scritto invece il colonnello Stirpe, che penso molti di voi conosceranno, in un articolo pubblicato ieri su La Stampa (link 2 e foto), e ne scrivo oggi perché ci ho messo una giornata buona a digerirlo.
Chiariamo subito una cosa: trovo Stirpe incredibilmente irritante, per un motivo molto semplice. Il 50%, e molto spesso anche il 75% di quello che scrive è giustissimo, ben pensato, consequenziale, da meditare con attenzione, frutto di competenze molto estese, di ottima capacità di ragionamento e di grande intelligenza, e tutto il resto è un’assurdità da nafo preadolescente che ti fa davvero cadere le braccia e dubitare, a volte, che sia la stessa persona che ha scritto il resto del post o dell’articolo.
E questo articolo (che purtroppo per lui ha anche avuto il solenne endorsement di Taradash su Twitter, cosa che da sola basterebbe per farne carta straccia) non fa eccezione, anzi essendo per la stampa ‟generalista” è anche un po’ peggio del solito.
Partiamo dal titolo (che, lo sappiamo, non è responsabilità sua): ‟A Kiev bastano armi a medio raggio per distruggere la macchina russa”. Non c’è bisogno, credo, di commenti, ma appunto qui lui non c’entra nulla. La prima domanda è sensata, se le armi a lunga gittata possono veramente cambiare qualcosa. Lui prima risponde che gli ucraini sulla lunga gittata sono autonomi, però fa confusione (voluta?) tra droni e missili – perché è vero che hanno la capacità di mandare droni a lungo raggio, ma i danni che riescono a fare sono limitati, sebbene lui dica che invece sono notevoli. Qui, lo ammetto, stavo per smettere di leggere, e avrei fatto male perché il resto dell’articolo ha dei bei momenti.
Dice infatti subito che il problema per gli ucraini sono le medie distanze, circa 500 chilometri, dove non basta solo la qualità dell’attacco (il drone che si sfascia nel condominio alla periferia di Mosca è dunque, par di capire ‟attacco di qualità”) ma anche la quantità, che è esattamente quello che scrivevo io ieri, aggiungendo che a quella distanza si trova il grosso della logistica dell’esercito russo, e che la logistica è il suo tallone d’Achille. E perché, chiede una turbata Monica Perosino, che questa uscita proprio non se l’aspettava.
Perché ci dice sempre il colonnello, A DIFFERENZA DI QUELLA OCCIDENTALE, la logistica russa viaggia prevalentemente su ferrovia e poi il materiale viene caricato sui camion. La logistica occidentale, cinese, iraniana, somala e onduregna viaggia TUTTA così: treni a lunga distanza, che trasportano il grosso degli equipaggiamenti, e camion e camioncini che lo portano al fronte.
Perché questa cosa assurda del dire che è una peculiarità russa? Perché subito dopo aggiunge che i russi, di camion, ne hanno ‟scandalosamente pochi”, e fino agli anni ‛80 hanno usato i camion che gli avevano mandato gli americani durante la seconda guerra mondiale, e quindi non hanno avuto stimolo a fabbricarli perché, tra l’altro, essendo una dittatura ha sempre puntato a produrre sistemi d’arma che ‟fanno figo”, boomerata sua, citando come esempio il T10.
Ora, al di là del fatto che non si capisce cosa c’entri il T10, che è l’ultimo carro della serie Iosip Stalin prodotto a partire dal 1954 e la cui produzione è cessata nel 1966, capiamoci un attimo sui camion. Ci basta citare un tweet di Edoardo Fontana nel quale leggiamo che, a fronte di più o meno 370.000 camion mandati in URSS dagli USA tra il 1942 e il 1945 (il 30% del parco sovietico), dal 1946 al 1975 l’URSS ha prodotto TRE MILIONI E MEZZO di soli GAZ-51, senza contare gli altri modelli. Quindi è molto probabile che i camion statunitensi abbiano circolato finché non sono schiattati, magari fino agli anni ‛80, ma di certo non perché l’URSS costruiva solo T10 e nient’altro.
A 500 chilometri, continua il nostro, c’è il punto di scambio tra treni e camion, e quindi colpire lì è necessario per interrompere la logistica, quindi servono i missili e non i droni perché, oltre alla qualità (sempre quella del drone che si sfascia nel condominio) ci vuole la qualità. Il discorso si sposta poi su Kursk, e lì il livello si alza parecchio.
È un enorme successo diplomatico, perché i russi hanno ‟smesso improvvisamente di chiedere il congelamento del conflitto” (prendiamo nota: dire di non essere più disposti a negoziare è un gran successo diplomatico), e anche se bisognerà vedere se riusciranno a mantenere il territorio conquistato ‟la penetrazione in territorio russo ha completamente disabilitato la narrativa di Mosca e uno dei suoi principali argomenti diplomatici” (quale narrativa, e quale argomento diplomatico? Stiamo vincendo la guerra perché la frontiera dell’oblast’ di Kursk è intatta?).
E poi, naturalmente, questa operazione obbliga i russi a intraprendere una ‟costosa” operazione militare sul loro stesso territorio e ovviamente subire attrito e gravi perdite (anche qui, ci sarà da aggiornare i manuali militari: gli eserciti che attaccano subiscono sempre perdite più gravi di chi difende, a meno che naturalmente non si parli di quello ucraino, che ne subisce sempre meno sia in attacco che in difesa anche se ha meno artiglieria e pochissima aviazione).
Ci avviamo verso la fine, con gli argomenti più forti. Il tempo, dice Stirpe, non gioca affatto a favore della Russia, perché hanno poca artiglieria (TUTTE le fonti, russe, NATO o ucraine, danno ai russi un vantaggio in termini di pezzi tra le sette e le dieci volte, ma ora apprendiamo che non è affatto così) e problemi di manutenzione (questo giusto dopo che, il 9 settembre, Bild parlava di ‟situazione catastrofica” per la manutenzione degli obici semoventi PzH 2000 forniti dalla Germania all’Ucraina e della mancanza di parti di ricambio, soprattutto gli affusti ma invece sono i russi ad avere problemi di manutenzione, perfetto).
Chiudiamo in gloria: ‟la Russia ha finito i cuscinetti a sfera”, dato che li producono in Svezia, Giappone, Italia (ottimi i nostri, veramente) e Germania, che ovviamente non li mandano di certo in Russia, essendo oggetto di sanzioni. Stirpe è un miliare, un uomo d’azione: gli perdoneremo certamente la confusione tra ‟produzione”, che effettivamente è concentrata nei paesi che lui ha citato, e ‟commercio”, che invece è, per la grande maggioranza, nelle mani indovinate di chi? La Cina, ovviamente.
E poi tranquilli, la guerra finisce il prossimo autunno, ‟perché i magazzini russi sono quasi vuoti” (qui torna la prima grande illusione dei nostri amici atlantisti, con cui ci hanno deliziato per tutto il primo anno di guerra – aspettiamo ancora un po’ e la Russia collassa da sola, non c’è nemmeno bisogno di mandare altre armi). Ultima domanda: sarebbe grave se cadesse Pokrovsk? Non grave ma ‟molto antipatico”, risponde, perché se prendono Pokrovsk poi prendono Kramatorsk e quindi tutto il Donbas, e avrebbero anche la certezza di tenerselo. Decisamente una cosa antipatica, in effetti.
Mi è spiaciuto davvero molto, per il rispetto che ho per Stirpe e per le sue competenze che sono molto grandi, dover leggere un articolo del genere che sembra una delle dirette YouTube di LiberiOltre della primavera 2022. Davvero molto, molto spiaciuto, e spero che un giorno, quando tutto questo macello sarà finito, tutti loro (non LiberiOltre, figuriamoci) potranno finalmente parlare senza limitazioni, e dirci quello che veramente hanno visto e immaginato.
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