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06 settembre 2024
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Il cimitero dei numeri
di Rossella Ahmad

Tra le infinite rievocazioni di eventi, momenti simbolici di particolare importanza nella storia palestinese e date, ve ne è una che può suonare bizzarra agli orecchi del neofita. Cade ogni 27 agosto, ed è la giornata in cui si commemorano i corpi dei martiri mai restituiti alle famiglie.

Centinaia di corpi. Per l'esattezza 552 cadaveri, custoditi in celle frigorifere ed in appositi cimiteri, chiamati "cimitero dei numeri". Niente altro che grandi fosse comuni, in cui ogni cadavere è contrassegnato da un numero.

La mancata restituzione dei corpi dei prigionieri palestinesi alle famiglie è pratica antica. Già in passato, in un'epoca di molto anteriore al sette ottobre, diverse agenzie per la difesa dei diritti umani nei territori palestinesi avevano denunciato il probabile furto di organi dai cadaveri tenuti in ostaggio, il che getta una luce sinistra anche sulle circostanze delle tante morti dei prigionieri palestinesi all'interno delle carceri d'occupazione.

Il termine "probabile" è ovviamente usato dalle agenzie per motivi di diplomazia ed opportunismo politico. I furti di organi sono infatti certificati da immagini circolate sul web e che io stessa ebbi modo di vedere negli anni tra il 2000 ed il 2005 e dalle autopsie condotte sui cadaveri nonostante il divieto da parte di Israele al momento della consegna ai familiari.

Del resto, un programma della stessa televisione israeliana, Channel 10, aveva scoperchiato il vaso degli orrori rivelando l'esistenza di una banca della pelle, le cui riserve ammontavano a 17 metri quadrati di tessuto umano, prelevato senza consenso dai corpi dei palestinesi deceduti. Un numero spropositato se rapportato alla popolazione di Israele. Per inciso: un'inchiesta della CNN, nel 2008, rivelò che Israele è il più grande centro mondiale per il commercio illegale di organi.

Torno al cimitero dei numeri. Cioè ai cadaveri che non hanno mai ricevuto degna sepoltura, in una punizione collettiva eterna che viola le leggi civili, in particolare le convenzioni dell'Aja, articolo 50, e, ovviamente, la Quarta Convenzione di Ginevra, e quelle umane e civili. Il rispetto per la morte e la sacralità dei cadaveri, leggi etiche che appartengono alla famiglia umana dalla notte dei tempi, qui violate senza ritegno.

Torno anche ai numeri. Alle parole che ci hanno accompagnato durante questi lunghi mesi di calvario, a quel celebre hashtag che ribadiva l'unicità di ogni palestinese vivo o morto, e del suo inalienabile diritto all'identità. Il primo tra i diritti umani. Assassinati in Palestina, terra di nessuno. Un numero ed una targa è ciò che resta di uomo, di una donna, di un bambino.

Le similitudini, per chi sappia coglierle, sono agghiaccianti.

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