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Benvenuti all'inferno
di
Rossella Ahmad
"Ci hanno portati a Megiddo. Mentre scendevamo dal pullman, una guardia ci ha detto: Benvenuti all'inferno".
Si apre così l'ultima pagina degli orrori provenienti dai campi di concentramento e detenzione in cui vengono rinchiusi da settant'anni i palestinesi , secondo una pratica definita "detenzione amministrativa", cioè arbitraria e senza motivazioni, e denunciata da B'tselem.
Un reportage che è una discesa nell'inferno, un bagno nella perversione umana con ritorno, per noi che leggiamo. Per i detenuti, sottoposti a sevizie di ogni genere, il ritorno avviene spesso su camion dell'esercito. Masse di cadaveri indistinti, non identificabili, scaricati come immondizia senza valore in un punto qualsiasi di un luogo in cui non vi è più alcuna legge, neanche quella umana e morale.
Megiddo. Il simbolismo mitologico di questo luogo è agghiacciante. Città cananea, viene ritenuta, secondo l'Apocalisse, il luogo in cui avrà luogo l'Armageddon, la lotta finale del bene contro il male.
Piccola parentesi storica: i soliti scavi archeologici israeliani alla ricerca di inesistenti reperti biblici nell'area di Megiddo hanno portato alla luce i resti della più antica chiesa della cristianità ed un mosaico con iscrizioni in greco in cui si fa riferimento a quattro donne, Primilla, Ciriaca, Dorotea e Cresta, a cui fu dedicato il reperto, antico di 1800 anni, ed i resti di un accampamento romano.
Si ritiene che i reperti palestinesi più importanti si trovino proprio sotto le fondamenta della prigione degli orrori, utilizzata da Israele per detenzioni amministrative di lungo corso già a partire dagli anni '70. Poco lontano dall'area sorge il villaggio palestinese fantasma di Lajjun, depopolato durante la Nakba del 1948.
La prigione di Megiddo è il regno degli abusi e della tortura sistematica. Almeno tre detenuti palestinesi hanno trovato la morte all'interno di essa, tutti provenienti dalla Cisgiordania occupata. In uno dei casi la morte è sopravvenuta per negligenza medica, termine edulcorato per definire il rifiuto a concedere cure mediche ai malati, oltreché cibo ed acqua.
Ed è la prigione più grande, con una capacità di 1200 prigionieri, subito dopo quella di Kti'ziot. Attualmente vi sono reclusi circa 90 minori palestinesi, 24 dei quali provenienti dalla striscia di Gaza.
Secondo il rapporto della Commissione per gli affari dei detenuti palestinesi, i bambini sono ammassati in stanze sovraffollate, e sviluppano continuamente malattie della pelle per impedimento nell'utilizzo di materiale igienico e sanitario. La scabbia è una delle più diffuse.
Ho letto ieri sera il rapporto di B'tselem con un senso di orrore diffuso. Non sono riuscita a terminarne la lettura, in realtà. Mi riprometto di farlo in momenti meno travagliati. Le 55 testimonianze raccolte indicano chiaramente l'esistenza di un sistema di abusi e torture istituzionalizzato, in cui le celle non rappresentano altro che una rete di laboratori in cui sperimentare fino a quale punto possa giungere la sopportazione umana.
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