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16 luglio 2024
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Il buon samaritano dei partigiani 2
di Rinaldo Battaglia *

Ai capi della GNR di Modena non pareva vero di aver arrestato don Elio Monari o, meglio, don Luigi ‘il prete dei partigiani’. Con soddisfazione lo dettero in pasto alla banda di criminali di Mario Carità che da Firenze, nella tristemente famosa Villa Triste, si divertiva a torturare a morte coloro che i fascisti gli mandavano o gli dicevano di uccidere. È difficile dire, in poche righe, quanto diabolica e sanguinaria fosse la Banda Carità, ufficialmente per il Duce qualificata come un reparto della 92ª legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le camicie nere). Anche nel mio Veneto, chiamata a Padova dal prefetto toscano di Padova e Rovigo - Filippo Menna, uno dei più assassini e cacciatori di ebrei della mia terra - la Banda Carità solo a nominarla faceva terrore e spavento, tanto da diventare sinonimo di ladri e torturatori fascisti.

Quando Mario Carità venne trovato ed ucciso dagli Alleati il 18 maggio ’45, sui monti di Bolzano, in casa della sua donna del momento, gli trovarono solo una piccola parte dell’immenso ‘tesoro’ che si era procurato con la sua violenza, coperta e protetta per anni dagli uomini di Mussolini. Quel poco che scovarono era stato consegnato alla figlia della proprietaria di casa, Frida Planötscher, in una busta di cuoio e comprendeva ‘solo’ 1.400.000 lire, 200 monete d’argento di vario conio, due orologi d’oro, quattro anelli d’oro di cui uno con brillante di raro valore. Cifre pazzesche se si pensa che un ebreo ‘uomo’ allora veniva ‘venduto’ ai nazisti per 3.000 lire, una donna sulle 2.000, un bambino attorno alle 1.500 lire. Trovarono anche altri bottini in altri nascondigli, tra cui pure una borsa di cuoio, colma di banconote da mille e da cinquecento lire, oramai però inservibili in quanto molto danneggiate dalla pioggia.

E chissà se, in quei giorni, vittima delle torture nella Villa Triste, don Elio Monari abbia anche incontrato altri preti o ‘uomini di Chiesa’. Si deve infatti sapere che nella Banda Carità operavano ed erano tra i più feroci aguzzini anche l’ex-prete Giovanni Castaldelli, il criminale padre Epaminonda Troya e il cappellano delle S.S. don Gregorio Boccolini.

Alfredo Epaminonda Troya (che si faceva evangelicamente chiamare ‘don Ildefonso’ o il più banale ‘Elio Desi’ con cui nel ‘44 firmava articoli su giornali del fascio) a quel tempo era un monaco romano di 29 anni, già vice parroco a Firenze del convento vallombrosiano di Santa Trinità e inizialmente aveva dato soccorso ai prigionieri alleati (servizio organizzato dal parrucchiere Ferdinando Pretini), ospitando nel convento una missione ‘badogliana’ e di soldati del disciolto Regio Esercito, in fuga dopo l’8 settembre.

Quando venne arrestato Pretini – forse su sua indicazione - passò dalla parte della Banda Carità, diventando uno dei peggiori. Era lui che suonava il piano, talvolta anche con musiche soavi di Schubert, quando le vittime venivano torturate a sangue, per coprire le loro grida di dolore che però ‘davano fastidio’. Nel novembre ‘44 – per la legge che ‘non è mai troppo tardi’ - Troya venne sospeso ‘a divinis’ dalla Chiesa di Roma, proprio come l’arcivescovo di Modena aveva minacciato su don Elio Monari. Decise così di cambiare vita: lasciò la Banda Carità e seguì quella di Pietro Kock a Roma e a Milano, prendendo parte a mille altre torture e forse anche ad un assalto, dei tedeschi e della banda Koch, alla Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, per rubarne i tesori, prima che arrivassero gli Alleati, prima che, per loro, la festa lì finisse.

Le torture sul povero don Elio durarono solo 11 giorni, perché all’alba del 16 luglio fu condotto insieme ad altri partigiani alle Cascine e lì fucilato. Altro non si seppe dell’uccisione di don Elio – o don Luigi meglio - anche perché per quasi 70 anni non vi furono conferme ufficiali. E questo malgrado che, già nel 1956, fossero stati ritrovati i corpi dei giustiziati di quel 16 luglio 1944. Partendo poi dalla testimonianza di una vecchia signora che affermava che aveva visto e notato come tra le immondizie – passando da quelle parti, in via Bolognese, dove stanziavano i fascisti della Banda Carità – vi fosse stata anche una tunica da prete, si arrivò ad ipotizzare con buona certezza la tragica fine del sacerdote. Nel 1956 i resti di quei corpi vennero così sepolti in una cappella del cimitero di Rifredi a Firenze.

Il nome di don Elio Monari venne, anni dopo, insignito della Medaglia d'oro al valor militare alla memoria, con questa precisa motivazione: «Ministro di cristiana carità e patriota di sicura fede, subito dopo l’armistizio si prodigava con solerte e generosa attività nel soccorrere internati italiani e prigionieri alleati, molti ponendo in salvo ed alcuni sottraendo a morte sicura. Primo tra i cappellani di unità partigiane operanti nell’Appennino Modenese era a tutti di indimenticabile esempio, sia nel santo esercizio della sua missione, sia nei pericoli del combattimento che sempre affrontava con valore di soldato e pietà di sacerdote.

Per soccorrere un morente presso le linee nemiche e (come aveva a dire ai compagni prima di uscire dai ripari) per dare la vita allo scopo di salvare un’anima, veniva catturato dai tedeschi, spogliato delle vesti sacerdotali, brutalmente percosso ed avviato a lungo martirio nelle carceri di Firenze. Fra le atroci sevizie, sopportate con la fermezza dei forti, sempre incoraggiava e confortava i compagni sofferenti e li benediceva prima di avviarsi all’estremo sacrificio. — Firenze, Piazza Washington, luglio 1944».

Il minimo per un uomo di così elevato spessore, umano in primo luogo. Peccato che in Italia sia così poco conosciuto. Meriterebbe molto, molto di più. E non solo tra le pagine minori del Libro della nostra Seconda Guerra Mondiale.

16 luglio 2024 – 80 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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