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27 giugno 2024
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Legami di Israele con dittatori e regimi dell'apartheid
di Rossella Ahmad

Ho ascoltato le interessanti considerazioni di David Hearst, editore capo di Middle East Eye, a proposito dei legami strettissimi tra Israele ed estrema destra europea, considerazioni che condivido, ovviamente.

Sostanzialmente, Hearst rileva il grande lavoro di infiltrazione operato da Israele nelle destre europee partendo dalla costruzione fittizia, fatta a tavolino, di un nemico comune, l'Islam, sotto forma di palestinesi da un lato ed immigrati dall'altro, da combattere senza esclusione di colpi. A braccetto.

La costruzione fittizia del nemico comune parte da un nonsense storico, che è la costruzione altrettanto fittizia della cosiddetta civiltà cristiano-giudaica, laddove le più antiche, reiterate e vaste persecuzioni anti-ebraiche sono state consumate proprio e solo nei paesi cristiani.

Si tratta ovviamente di opportunismo politico, di un matrimonio di convenienza , secondo il giornalista. Ma non solo. Anzi, mi meraviglio del fatto che David Hearst non ne faccia cenno.

Chi conosce la storia di Israele sa che questi legami partono da lontano, non certo dagli ultimi, distopici anni: da un oscuro e mai chiarito rapporto del movimento sionista con il nazismo, addirittura; e dai rapporti strettissimi, questi molto ben documentati, tra Israele e dittature fasciste sudamericane ed africane, a cui forniva armi e mezzi di repressione.

In particolare, per ciò che concerne il Sudamerica, privilegiato fu il rapporto tra stato sionista ed il Paraguay di Alfredo Stroessner ed in generale con tutte le dittature o i governi impegnati nella repressione degli indigeni, come il Brasile ad esempio. Ma anche il Guatemala e l'Argentina del dittatore Videla, tra i cui desaparecidos si annoverano almeno 3000 argentini di religione ebraica.

Per ciò che concerne il Paraguay: Israele aveva concordato col dittatore Stroessner la rimozione dei palestinesi dalla terra nativa e la loro ricollocazione nel paese sudamericano, con ricompensa in armi e denaro per il paese "ospitante". Rimozione forzata, certamente non volontaria. Al pari di quella operata con la Nakba del 1948, si trattava di rendere la vita difficilissima ai nativi, con assassinii, demolizione di case e perdita di lavoro e mezzi basilari di sostentamento, come l'acqua.

Anche il prezzo era stato concordato: 33 dollari per ogni palestinese trasferito e 350.000 dollari per i costi d'immigrazione della prima ondata di rifugiati. Nell'arco di quattro anni, sessantamila palestinesi avrebbero dovuto essere ricollocati in Paraguay.

Il piano fallì perché il diavolo come sempre fa le pentole ma non i coperchi. Due membri della resistenza riuscirono a compiere un attentato all'interno dell'ambasciata israeliana in Paraguay nel maggio del 1970, in seguito al quale l'accordo fu sciolto. Il terrorismo, così lo chiamano.

Anche con il Sudafrica dell'apartheid i rapporti erano più che buoni. In un momento storico in cui tutto il mondo era impegnato in un boicottaggio che avrebbe poi decretato la fine del regime segregazionista, Israele forniva al governo bianco sudafricano armi e strumenti di controllo e repressione, importando a sua volta in Palestina tutti i sistemi rodati in decenni di pratica di apartheid e segregazione razziale.

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