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18 giugno 2024
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Appropriazioni indebite
di Rossella Ahmad

A proposito di appropriazione culturale: gli europei e particolarmente gli americani che hanno colonizzato la Palestina vivono in un mondo artefatto, che viene loro inculcato sin da quando sono molto piccoli. Attraverso questo condizionamento potentissimo creano una realtà alternativa, in base alla quale è giusto che un ucraino si presenti a casa di un'anziana palestinese, la butti fuori e se ne impossessi, senza che vi sia alcuna legge che intervenga per impedirlo.

È accettabile ritenere se stessi - europei, americani, australiani e persino cinesi - originari palestinesi , mentre i veri indigeni vengono considerati alieni, giunti da chissà dove. Una follia in piena regola, che nasce in un contesto senza precedenti di rimaneggiamento della storia e che si coniuga con tentativi sempre più plateali di appropriazione simbolica. Il colonialismo è sempre accompagnato da appropriazioni indebite, materiali e spirituali.

È stato chiesto ad alcuni israeliani quale fosse la loro parola più tipica, e, tra le tante possibili, la maggior parte di essi ha scelto "Yalla", che è uno dei termini palestinesi per eccellenza. Un'esortazione tra l'altro, più che un sostantivo.

Per inciso, l'ho già detto altrove ma repetita iuvant: la lingua ebraica è una lingua liturgica, fino al secolo scorso riservata ai riti religiosi. Nella costruzione ex-novo di una lingua che unificasse in qualche modo eterogenee comunità di immigrati, i termini moderni, inesistenti nella lingua liturgica, sono stati presi direttamente dal vocabolario arabo ed ebraicizzati in un idioma che fai fatica a riconoscere come naturale e fluido.

Ma loro hanno una perversa fascinazione verso tutto ciò che sia palestinese, che siano termini, espressioni, cibi e persino le tradizioni culturali più genuine, come il tatreez, il ricamo palestinese a punto e croce. Appropriazione e distruzione, due facce della stessa medaglia del colonialismo d'insediamento.

Non avendo una cultura condivisa né una storia condivisa, mi approprio delle tue e ti distruggo, e nel farlo realizzo il mio folle progetto di sostituzione etnica.

Il film Israelism, che invito tutti a vedere perché davvero esplicativo del genere di condizionamento che i membri delle comunità ebraiche subiscono in questa operazione di costruzione di una realtà fittizia, lo denuncia con chiarezza, attraverso la storia di due ebrei americani cresciuti nel mito di un Israele epico e che improvvisamente si scontrano con la realtà vera, rappresentata dall'incontro fortuito con alcuni studenti palestinesi. È uno scontro traumatico, che li porterà pian piano a decostruire l'impalcatura fantasiosa creata dal sionismo e rinascere alla vita reale.

Nel momento stesso in cui viene percepita la frode originale su cui il sionismo ha costruito un intero castello di bugie per giustificare la presa violenta della Palestina e la sua colonizzazione selvaggia, tutto accade di conseguenza. Israele cessa di essere il luogo mitico di salvezza e "ritorno" e viene visto per ciò che è: uno stato etnico, la cui etnicità è riconducibile alla sola appartenenza religiosa, suprematista, edificato sul sangue degli indigeni e su una colossale bugia storica.

Le enormi, inspiegabili contraddizioni su cui si fonda il mito del popolo ebraico appaiono chiare in tutta la loro deficienza e la fondazione di uno stato artificiale viene percepita per ciò che è: una criminale conquista militare resa possibile da connivenze e ricatti di ogni genere, in cui il diritto e la legge vengono silenziati grazie ad una ricchezza ed un potere mediatico pressoché illimitati.

"Se c’è qualcosa che mi dà speranza in questo momento orribile, è che sempre più persone apriranno gli occhi”, ha detto Zimmerman, uno dei personaggi - chiave di Israelism. "Ho fiducia che sempre più ebrei smetteranno di credere alle bugie che ci sono state inculcate e avranno il coraggio di affrontare la realtà di ciò che è Israele e non la sua fantasia”.

La frattura generazionale è appena cominciata. Il tempo della fine è più vicino che mai.

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