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Israele e il mondo
di
Gabriele Germani
Ormai è fin troppo chiaro che quello che a cui siamo assistendo non è solo lo scontro tra Israele e la Resistenza palestinese, ma tra due modi di intendere le relazioni internazionali e la vita degli altri.
Da un lato, uno stato-canaglia che non rispetta le risoluzioni della comunità internazionale, che commette genocidio, che si burla di ogni regola e di ogni richiamo, che pensa di poterla far franca attraverso i soldi e lo scontro militare; dall'altro, un popolo oppresso, resistente e che esercita il proprio diritto alla resistenza in base ai diritti riconosciuti dalla comunità internazionale.
Così, Tel Aviv diventa la rappresentazione plastica e concreta di come l'Occidente intende uscire dalla sua nuova crisi interna, con una spolverata di diritti civili al suo interno e una bruta repressione al di fuori.
Dietro c'è il progetto coloniale e imperialista, la partenza di coloni europei che occupano terre, sterminano le popolazioni, applicano la sostituzione etnica. Il desiderio non è mai stato quello di spartirsi equamente le terre, di condividerle pacificamente, di trovare un accordo di pace, ma lo sterminio dei nativi, proprio come fatto in Namibia dai tedeschi, in Nord America dai padri pellegrini o in Australia dagli inglesi; come tentato di fare in Sud Africa e ancora Namibia successivamente dal governo dell'apartheid.
La logica è sempre la stessa, la divisione della società in caste su base etnica. Per decenni abbiamo criticato la società tradizionale induista definendola una società castale, ma la società prodotta dal colonialismo europeo non era da meno. In Centro America, ad esempio, il valore di una persona era misurato in base all'etnia, al colore della pelle e questo corrispondeva alla categoria lavorativa del singolo.
Il patto imperialista si regge sullo sfruttamento e il furto delle risorse dal resto del mondo, dalla periferia verso il centro; creando un compromesso interno alla parte benestante, una sorta di pace socialdemocratica, così i lavoratori del mondo ricco rimangano al contempo sedati dalle risorse rubate, in parte complici della propria classe dirigente, ma soprattutto ricattabile per la concorrenza dei lavoratori della periferia.
Questa è una lotta tra popoli e impero, tra resistenza e sfruttamento.
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