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7 ottobre: narrazione smontata ma loro la ripetono e ripetono...
di
Rosa Rinaldi
Sta girando in questi giorni tra i sionisti nostrani, credo per giustificare il massacro di Nuseirat, una lettera della israelo- russa Dina Rubina, portata come esempio di una ebrea combattente che rifiuta il mito dell'"ebreo buono".
Eh si, perché per questa gente "l'ebreo buono" (quello che trova ripugnante la mattanza e la disumanizzazione dei palestinesi) è visto come una sorta di traditore o di utile idiota.
La lettera in realtà risale a marzo 2023, non dice nulla di nuovo, se non fosse che è una ulteriore prova di quanto gli intellettuali e accademici. Israeliani ricalchino la propaganda senza filtri razionali e morali.
E infatti la lettera della Rubina ripropone le stesse balle della lettera della docente israelo italiana Edna Calo (di cui avevo già parlato) su donne sventrate e bambini decapitati, balle già debunkerate a sufficienza e improponibili per chi possiede un livello minimo di deontologia morale.
Ma loro niente, continuano, insistono.
E ti rendi conto che per questa gente la verità fattuale o storica non conta niente, l'importante è la difesa della cerchia identitaria a cui sentono di appartenere.
È una sorta di psicopatia collettiva culturale, in cui l'asse in-group/out-group ricalca quello delle sette.
E infatti chi ne è fuoriuscito racconta di lavaggi del cervello simili proprio a quelli delle sette.
Una di questi è la psicoterapeuta e scrittrice israeliana Avigail Abarbanel che racconta dell'indottrinamento a cui è stata sottoposta e in cui sono ricorrenti i costrutti narrativi che ritroviamo anche nella propaganda di casa nostra:
la necessaria distruzione del nemico, la superiorità morale ebrea, il settarismo, la rimozione della storia coloniale israeliana, il messianismo biblico, il diritto ad una terra tutta loro, l'antisemitismo diffuso tra i non ebrei, eccetera.
Una lettura illuminante per capire da dove nasce la presunzione del diritto al massacro che vediamo ribadito ogni giorno.
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